Società tra coniugi e recesso (Cass. 27 aprile 2020, n. 8222)
La Cassazione, con ordinanza 27 aprile 2020, n. 8222, afferma che tra i coniugi in comunione dei beni può essere costituita una società di persone, al cui patrimonio appartengono i beni conferiti in società, essendo anche le società personali dotate di soggettività giuridica.
Pertanto, in caso di recesso di uno dei due coniugi soci, questo ha diritto alla liquidazione, a carico della società, della propria partecipazione, il cui importo va determinato ai sensi dell’art. 2289 c.c., tenuto conto del valore patrimoniale della quota al momento dello scioglimento del rapporto sociale. Sebbene legittimata passiva per tale obbligazione sia la società, l’unico socio superstite può essere convenuto in giudizio sia in nome di questa, sia in proprio, al fine di farne valere la responsabilità per le obbligazioni sociali quale socio illimitatamente responsabile.
Sulla base di tali principi di diritto la Corte respinge l’istanza del coniuge volta ad ottenere l’accertamento della comunione legale sui beni sociali, che il richiedente aveva fondato sull’erroneo presupposto che la società costituita fra i coniugi dopo il matrimonio fosse oggetto dell’azienda coniugale di cui all’art. 177, comma 1, lett. d), c.c. e che, conseguentemente, i beni acquistati dalla società fossero entrati a far parte della comunione legale, ai sensi della lett. a) della stessa disposizione, mentre per reputare i beni in titolarità della società sarebbe stato necessario che l’atto costitutivo di questa fosse stato redatto per atto pubblico, indispensabile ai fini del mutamento convenzionale del regime patrimoniale, ai sensi degli artt. 162 e 191 c.c., in quanto ciò avrebbe coinciso con lo scioglimento della comunione di coniugi sull’azienda coniugale.
Nell’ordinanza si dà atto, invece, di come i regimi dello svolgimento di attività d’impresa nell’ambito della famiglia possano assumere qualificazioni giuridiche diverse, da cui deriva una differente disciplina regolatrice dei rispettivi rapporti, così riassumibili:
– l’azienda coniugale ex art. 177, comma 1, lett. d), c.c.;
– l’azienda appartenente ad un solo coniuge con mera comunione degli utili e degli incrementi ex art. 177, comma 2, c.c.;
– l’impresa gestita individualmente da uno dei coniugi ex art. 178 c.c.;
– l’impresa familiare ex art. 230-bis e 230-ter c.c.;
– le società di persone, di capitali e cooperative.
L’azienda coniugale di cui all’art. 177 c.c., comma 1, lett. d), c.c. ricade nella comunione legale fra i coniugi, che vi assumono posizione paritaria, ove l’azienda sia acquisita in costanza di matrimonio e venga gestita da entrambi, che divengono coimprenditori, richiedendosi l’effettiva e reale gestione della stessa da parte di ciascun coniuge, pur senza particolari accordi o formalità, ma non essendo, invece, sufficiente la mera comproprietà dell’azienda (Cass. 23 maggio 2006, n. 12095).
L’esistenza della cogestione quale elemento essenziale della fattispecie differenzia tale istituto dalla mera collaborazione che si attua nell’impresa familiare, di cui all’art. 230-bis c.c., ove vi è una semplice partecipazione del coniuge all’attività aziendale, interamente imputata al titolare dell’impresa (Cass., SS.UU., 6 novembre 2014, n. 23676, in Società e contratti, bilancio e revisione, 12/2014, 45, con nota di Boggiali, L’incompatibilità tra impresa familiare e società; In Giur. It., 2014, 2651, con nota di Carbone P. – Carbone V., L’impresa familiare (230 bis c.c.) è incompatibile con la disciplina societaria; in Riv. Dir. Comm., 2015, 647, con nota di Delli Priscoli, Società e impresa familiare; in Nuova giur. Civ. comm., 2015, 350, con nota di Barillà, Impresa familiare e forma societaria: due modelli incompatibili; in Foro it., 2015, 104, con nota di Bona, L’art. 230 bis c.c. e la partecipazione del familiare ad una società; in Giur. It., 2015, 35, con nota di Cicero, La controversa struttura dell’impresa familiare; in Giur. Comm., 2015, 518, con nota di Corsi, Impresa di famiglia, impresa familiare e società Cass. 2 dicembre 2015, n. 24560; Cass. 18 gennaio 2005, n. 874; Cass. 15 aprile 2004, n. 7223; Cass., 18 dicembre 1992, n. 13390).
Laddove, però, i coniugi costituiscano una società, secondo i giudici «l’esistenza di un atto costitutivo vale proprio a segnalare che non di mera gestione di azienda coniugale in comunione si tratta, ma di titolarità dell’azienda in capo all’ente collettivo; ciò avviene nell’esercizio dell’autonomia negoziale dei coniugi nel decidere le regole organizzative per l’esercizio collettivo di un’impresa, avendo il legislatore del 1975 permesso ai soli coniugi in regime di comunione legale dei beni di avvalersi di una particolare modalità organizzativa e disciplina dell’impresa collettiva, mediante la cd. impresa coniugale; l’individuazione della scelta societaria è agevole in presenza della stipula di un atto costitutivo formale, il quale esonera l’interprete da più complesse interpretazioni della volontà dei coniugi, i quali, in tal modo, hanno reso esplicita la fattispecie prescelta, proprio in ragione della più efficiente e completa disciplina societaria per l’esercizio di un’attività produttiva, che soddisfa l’esigenza di regole e modelli certi e la trasparenza dei rapporti con i terzi».
Peraltro, la costituzione di una società consente, altresì, di escludere l’esistenza di un’impresa familiare, la cui disciplina ha carattere recessivo (Cass., SS.UU., 6 novembre 2014, n. 23676, cit.; nello stesso senso Cass. 13 ottobre 2015, n. 20552, in CNN Notizie dell’11 novembre 2015, con nota di Ruotolo – Boggiali, L’incompatibilità dell’impresa familiare con la disciplina societaria; in Vita not., 2016, 87, con nota di Andrini, Famiglia, impresa, società: ancora sull’art. 230 bis c.c.; in Giur. Comm., 2016, 1039, con nota di Corsi, Impresa familiare e società: la Cassazione si ripete (ma la fattispecie è diversa)).
Ciò posto, l’ordinanza in commento sembra porre fine al dibattito, sviluppatosi sin dall’entrata in vigore della riforma del diritto di famiglia, dell’ammissibilità della costituzione di società – di persone o di capitali – fra coniugi in regime di comunione legale dei beni e rispetto al quale si era in passato rilevato come la complessità della questione implicasse che la scelta del notaio di aderire alla soluzione della ammissibilità della società fra coniugi non avrebbe comunque potuto esporlo al rischio di una applicazione dell’art. 28 L.N., che presuppone trattarsi di atto espressamente proibito dalla legge (Boggiali – Ruotolo, Quesito n. 260-2013/I. S.a.s. con accomandante ed accomandatario in comunione legale dei beni, in CNN Notizie del 22 luglio 2013, ove ampi riferimenti sul contrasto tra le diverse opinioni dottrinarie).
Oltre al provvedimento in oggetto, si esprime in favore dell’ammissibilità di una società tra coniugi Trib. Bolzano, 30 ottobre 2018, n. 1127, secondo cui «In tema di validità della costituzione di una società di persone tra coniugi in regime patrimoniale di comunione legale, non può ritenersi il difetto della pluralità soggettiva per essere la società in accomandita semplice stata costituita fra due coniugi, di cui uno socio accomandatario, e quindi amministratore, e l’altro accomandante, atteso che altro è il momento costitutivo della società, altro è il momento di riparto degli utili, regolato da norme a tutela della famiglia».
Una volta ritenuta ammissibile la società, anche di persone, tra coniugi in regime di comunione legale, i giudici affermano, quindi che, ove i coniugi costituiscano una società, «non il coniuge socio, ma la società personale è il soggetto imprenditore, in quanto titolare di un interesse sovraindividuale, dotato di autonoma soggettività e sottoposto allo statuto dell’imprenditore commerciale […]; né si pongono, al riguardo, problemi di pubblicità, atteso il regime dell’iscrizione dell’atto costitutivo nel registro delle imprese, il quale, anche quanto alla tutela dei terzi, permette ai medesimi di accertare agevolmente la situazione aziendale, dopo l’iscrizione tutelandosi specificamente l’affidamento dei terzi in ordine all’applicazione del regime giuridico dai coniugi prescelto».
Ciò significa, altresì, che in caso di recesso di uno dei coniugi, la partecipazione si concentri in capo al socio superstite, con conseguente verificarsi della causa di scioglimento per venir meno della pluralità dei soci, ove questa non sia ricostituita entro sei mesi, ai sensi dell’art. 2272, n. 4, c.c.
La liquidazione del socio uscente seguirà, quindi, le regole ordinarie in materia societaria, che per le società di persone prevedono che il valore della partecipazione debba essere determinato ai sensi dell’art. 2289 c.c., tenuto conto dell’effettiva consistenza della situazione patrimoniale al momento dell’uscita del socio e degli utili e delle perdite inerenti alle operazioni in corso alla data del recesso, quali sopravvenienze attive e passive che trovino la loro fonte in situazioni già esistenti a quella data (Cass. ord. 16 aprile 2018, n. 9346, in CNN Notizie del 18 giugno 2018, con nota di Ruotolo – Boggiali, Società di persone composta di due soci, morte del socio e applicabilità dell’art. 2284 c.c.; Cass. 22 aprile 2016, n. 8233; Cass. 1 aprile 2016, n. 6365, in CNN Notizie dell’8 aprile 2016, con nota di Ruotolo – Boggiali, Liquidazione della quota del socio defunto e rilevanza degli utili e delle perdite da operazioni in corso; Cass. 18 marzo 2015, n. 5449; Trib. Roma 27 agosto 2018, in CNN Notizie del 12 settembre 2018, con nota di Ruotolo – Boggiali, Recesso del socio accomandante di s.a.s. e scioglimento della società; Trib. Milano, sentenza 17 dicembre 2015, in CNN Notizie del 17 giugno 2016, con nota di Ruotolo – Boggiali, Liquidazione della quota del socio uscente di società di persone e principio nominalistico; Trib. Roma, 4 marzo 2015, in CNN Notizie del 17 giugno 2015, con nota di Boggiali – Ruotolo, Recesso del socio da s.n.c.: ipotesi di recesso ad nutum, natura e forma della dichiarazione di recesso, criteri di liquidazione; Ruotolo – Boggiali, Quesito n. 45-2016/I. Scioglimento particolare del vincolo sociale e modalità di liquidazione in deroga all’art. 2289, in CNN Notizie del 1° ottobre 2019; Boggiali – Ruotolo, Quesito di Impresa n. 351-2014/I. Clausola riguardante la liquidazione in natura in caso di recesso da snc, in CNN Notizie del 16 giugno 2014).
Anche in caso di società tra coniugi opera, poi, il principio secondo cui il recesso dalla società personale è atto unilaterale recettizio, onde il socio perde tale status al momento della comunicazione del recesso alla società (in tal senso, oltre all’ordinanza in commento, Cass. 8 marzo 2013, n. 5836, Cass. 11 settembre 2017, n. 21036, seguita anche da Trib. Roma, 4 marzo 2015, cit., e da Trib. Roma 27 agosto 2018, in CNN Notizie del 12 settembre 2018, con nota di Ruotolo – Boggiali, Recesso del socio accomandante di s.a.s. e scioglimento della società).
Daniela Boggiali
16 luglio 2020