CRIPTOVALUTA E AUMENTO DI CAPITALE
Limiti all’aumento di capitale mediante conferimento di criptovaluta
Trib. Brescia, decr. 25 luglio 2018
Il Tribunale di Brescia, Sezione specializzata in materia di impresa, con decreto depositato il 25 luglio 2018 (reperibile in Federnotizie.it), respinge il ricorso, presentato da una s.r.l., ai sensi dell’art. 2436, comma 3, c.c., avverso il rifiuto del notaio di iscrivere nel Registro delle imprese una delibera di aumento di capitale da attuarsi mediante conferimento in natura, tra l’altro, di un certo numero di unità di una criptovaluta.
Il notaio aveva motivato il diniego di iscrizione rilevando come la volatilità delle monete virtuali non consenta “una valutazione concreta del quantum destinato alla liberazione dell’aumento di capitale sottoscritto”, né di valutare “l’effettività (quo modo) del conferimento”.
Il Tribunale dichiara apertamente di astenersi dal prender posizione in ordine alla generale idoneità delle monete virtuali a costituire elemento di attivo idoneo al conferimento nel capitale di una s.r.l. (questione che, allo stato attuale, resta aperta), incentrando, piuttosto, la propria indagine sulla sussistenza dei requisiti di cui all’art. 2464, comma 2, c.c. (l’esser elemento dell’attivo suscettibile di valutazione economica), con riguardo alla particolare criptovaluta che i soci intendevano conferire.
Il Collegio – premesso che il giudice, pur non potendo sostituire integralmente la propria valutazione di merito a quella dell’esperto, ha comunque la facoltà di sindacare la completezza, logicità, coerenza e ragionevolezza delle conclusioni da questi raggiunte – ricorda come i requisiti fondamentali di qualunque bene adatto al conferimento siano rappresentati: a) dall’idoneità a essere oggetto di valutazione, in un dato momento storico, prescindendosi dall’ulteriore problematica connessa alle potenziali oscillazioni del valore; b) dall’esistenza di un mercato del bene in questione, presupposto di qualsivoglia attività valutativa, che impatta poi sul grado di liquidità del bene stesso e, quindi, sulla velocità di conversione in denaro contante; c) dall’idoneità del bene ad essere “bersaglio” dell’aggressione da parte dei creditori sociali, ossia l’idoneità essere oggetto di forme di esecuzione forzata.
Nel caso in esame, la criptovaluta oggetto di conferimento non era presente in alcuna piattaforma di scambio tra criptovalute ovvero tra criptovalute e monete aventi corso legale, con la conseguente impossibilità di fare affidamento su prezzi attendibili in quanto discendenti da dinamiche di mercato. Anzi, l’unico “mercato” nel quale la criptovaluta in questione concretamente operava era costituito da una piattaforma dedicata alla fornitura di beni e servizi che era riconducibile ai medesimi soggetti ideatori della criptovaluta, nel cui ristretto ambito fungeva da mezzo di pagamento accettato. Dunque, un carattere prima facie autoreferenziale, incompatibile con il livello di diffusione e pubblicità di cui deve essere dotata una moneta virtuale che aspira a detenere una presenza effettiva sul mercato.
Nella perizia, inoltre, ci si limitava a riportare il “valore normale” dei beni tratto dalle quotazioni di un sito verosimilmente riconducibile agli stessi soggetti ideatori della criptovaluta, aderendo, peraltro, all’ultimo (e incidentalmente il più alto mai realizzato) valore disponibile sul citato sito, senza invece ricorrere a correttivi quali, ad esempio, l’utilizzo di una media in un certo periodo, utili a ottenere un effetto stabilizzatore del prezzo.
Quanto, infine, all’idoneità del bene ad essere oggetto di aggressione da parte dei creditori, si tratta di requisito parimenti trascurato all’interno della perizia di stima, laddove manca qualunque riferimento alle modalità di esecuzione di un ipotetico pignoramento della criptovaluta oggetto di conferimento, profilo da ritenere decisamente rilevante nella fattispecie, alla luce della notoria esistenza di dispositivi di sicurezza da elevato contenuto tecnologico che potrebbero, di fatto, renderne impossibile l’espropriazione senza il consenso e la collaborazione spontanea del debitore.
In conclusione, risultando evidente come la moneta virtuale oggetto del conferimento fosse in fase sostanzialmente embrionale e non possedendo, quindi, la stessa, quei requisiti minimi per poter essere assimilata ad un bene suscettibile di valutazione economica e, perciò, possibile oggetto di conferimento, il Tribunale rigetta il ricorso.
Antonio Ruotolo e Daniela Boggiali
Limiti all’aumento di capitale mediante conferimento di criptovaluta
Trib. Brescia, decr. 25 luglio 2018
Il Tribunale di Brescia, Sezione specializzata in materia di impresa, con decreto depositato il 25 luglio 2018 (reperibile in Federnotizie.it), respinge il ricorso, presentato da una s.r.l., ai sensi dell’art. 2436, comma 3, c.c., avverso il rifiuto del notaio di iscrivere nel Registro delle imprese una delibera di aumento di capitale da attuarsi mediante conferimento in natura, tra l’altro, di un certo numero di unità di una criptovaluta.
Il notaio aveva motivato il diniego di iscrizione rilevando come la volatilità delle monete virtuali non consenta “una valutazione concreta del quantum destinato alla liberazione dell’aumento di capitale sottoscritto”, né di valutare “l’effettività (quo modo) del conferimento”.
Il Tribunale dichiara apertamente di astenersi dal prender posizione in ordine alla generale idoneità delle monete virtuali a costituire elemento di attivo idoneo al conferimento nel capitale di una s.r.l. (questione che, allo stato attuale, resta aperta), incentrando, piuttosto, la propria indagine sulla sussistenza dei requisiti di cui all’art. 2464, comma 2, c.c. (l’esser elemento dell’attivo suscettibile di valutazione economica), con riguardo alla particolare criptovaluta che i soci intendevano conferire.
Il Collegio – premesso che il giudice, pur non potendo sostituire integralmente la propria valutazione di merito a quella dell’esperto, ha comunque la facoltà di sindacare la completezza, logicità, coerenza e ragionevolezza delle conclusioni da questi raggiunte – ricorda come i requisiti fondamentali di qualunque bene adatto al conferimento siano rappresentati: a) dall’idoneità a essere oggetto di valutazione, in un dato momento storico, prescindendosi dall’ulteriore problematica connessa alle potenziali oscillazioni del valore; b) dall’esistenza di un mercato del bene in questione, presupposto di qualsivoglia attività valutativa, che impatta poi sul grado di liquidità del bene stesso e, quindi, sulla velocità di conversione in denaro contante; c) dall’idoneità del bene ad essere “bersaglio” dell’aggressione da parte dei creditori sociali, ossia l’idoneità essere oggetto di forme di esecuzione forzata.
Nel caso in esame, la criptovaluta oggetto di conferimento non era presente in alcuna piattaforma di scambio tra criptovalute ovvero tra criptovalute e monete aventi corso legale, con la conseguente impossibilità di fare affidamento su prezzi attendibili in quanto discendenti da dinamiche di mercato. Anzi, l’unico “mercato” nel quale la criptovaluta in questione concretamente operava era costituito da una piattaforma dedicata alla fornitura di beni e servizi che era riconducibile ai medesimi soggetti ideatori della criptovaluta, nel cui ristretto ambito fungeva da mezzo di pagamento accettato. Dunque, un carattere prima facie autoreferenziale, incompatibile con il livello di diffusione e pubblicità di cui deve essere dotata una moneta virtuale che aspira a detenere una presenza effettiva sul mercato.
Nella perizia, inoltre, ci si limitava a riportare il “valore normale” dei beni tratto dalle quotazioni di un sito verosimilmente riconducibile agli stessi soggetti ideatori della criptovaluta, aderendo, peraltro, all’ultimo (e incidentalmente il più alto mai realizzato) valore disponibile sul citato sito, senza invece ricorrere a correttivi quali, ad esempio, l’utilizzo di una media in un certo periodo, utili a ottenere un effetto stabilizzatore del prezzo.
Quanto, infine, all’idoneità del bene ad essere oggetto di aggressione da parte dei creditori, si tratta di requisito parimenti trascurato all’interno della perizia di stima, laddove manca qualunque riferimento alle modalità di esecuzione di un ipotetico pignoramento della criptovaluta oggetto di conferimento, profilo da ritenere decisamente rilevante nella fattispecie, alla luce della notoria esistenza di dispositivi di sicurezza da elevato contenuto tecnologico che potrebbero, di fatto, renderne impossibile l’espropriazione senza il consenso e la collaborazione spontanea del debitore.
In conclusione, risultando evidente come la moneta virtuale oggetto del conferimento fosse in fase sostanzialmente embrionale e non possedendo, quindi, la stessa, quei requisiti minimi per poter essere assimilata ad un bene suscettibile di valutazione economica e, perciò, possibile oggetto di conferimento, il Tribunale rigetta il ricorso.
Antonio Ruotolo e Daniela Boggiali