Cass. 30 settembre 2019, n. 24223
La Corte di Cassazione, con sentenza del 30 settembre 2019, n. 24223, afferma che in caso di cessione agevolata di beni della società ai propri soci non sussiste il diritto di prelazione riconosciuto dall’art. 38 della legge 27 luglio 1978, n. 392 per il caso di trasferimento a titolo oneroso dell’immobile locato.
Nella fattispecie all’esame dei giudici il titolare del contratto di locazione di un immobile ad uso non abitativo ricorre al Tribunale per far valere il suo diritto di prelazione dei confronti dei soci di una società in accomandita semplice, originariamente proprietaria dell’immobile, la quale aveva ceduto detto immobile ai propri soci con cessione agevolata ai sensi della disciplina introdotta con la l. 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016– Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato), art. 1 commi 115 ss. (tale disposizione fissa, peraltro, un limite temporale alla concessione di tali agevolazioni fiscali, stabilendo che il regime di favore riguardava le operazioni realizzate entro il 30 settembre 2016. Il termine è stato riaperto dall’art. 1, comma 565 della l. 11 dicembre 2016, n. 232 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019), il quale ha disposto che «le disposizioni dell’articolo 1, commi da 115 a 120, della l. 208/2015 si applicano anche alle assegnazioni, trasformazioni e cessioni poste in essere successivamente al 30 settembre 2016 ed entro il 30 settembre 2017». La normativa in oggetto si colloca nel solco di interventi legislativi analoghi, quali quelli in precedenza realizzati con l’art. 29 della legge n. 449/1997, l’art 13. della legge n. 28/1999, l’art. 3 della legge n. 448/2001 e, infine, l’art. 2 del D.L. n. 282/2002, convertito dalla legge n. 27/2003).
Il Tribunale accoglie il ricorso, riconoscendo la violazione del diritto di prelazione, osservando che se pure è vero che la cessione dei beni da parte della società proprietaria era avvenuta non con contratto di compravendita, ma con un negozio che costituisce un atto di cessione agevolata di beni sociali, in favore degli unici soci della società locatrice, e pur se è vero che, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, il diritto di prelazione ed il diritto di riscatto sono applicabili nella sola ipotesi di vendita dell’immobile locato, è vero anche, tuttavia, «che negli atti che possono far esercitare il diritto di prelazione rientrano tutti gli atti, a titolo oneroso, con i quali viene ceduto il cespite oggetto di locazione, sostanziandosi l’atto di cessione onerosa dietro corrispettivo in quello che la normativa, di cui alla L. n. 392 del 1978, artt. 38 e 39 vuole espressamente evitare».
Dunque, secondo il Tribunale, la disciplina della prelazione urbana di cui alla l. 392/1978 dovrebbe essere interpretata «sulla base della ratio sottesa alla normativa in materia di locazione commerciale, includendo nella relativa nozione di ‘trasferimento’ ogni atto che si caratterizzi per effettuare una cessione a titolo oneroso del bene locato, nei confronti di soggetto terzo. Il fatto, perciò, che il trasferimento del bene sia avvenuto tramite cessione agevolata ai soci dei beni sociali e che non si tratti di una ordinaria vendita di bene immobile, è pertanto circostanza irrilevante, al fine di ritenere non soddisfatto il requisito del trasferimento a titolo oneroso del bene locato di cui alla L. n. 392 del 1978, art. 38».
La sentenza viene impugnata e la Corte d’Appello accoglie l’impugnativa affermando che la cessione agevolata di cui si tratta non costituisce un contratto di compravendita, laddove i diritti di prelazione e di riscatto di cui agli artt. 38 e 39, l. 392/1978 sussisterebbero solo «in caso di ordinaria compravendita, tale dovendosi intendere il “trasferimento a titolo oneroso” contemplato dal menzionato art. 38, comma 1… in quanto tale normativa, incidendo su di una delle facoltà in cui si esplica il diritto di proprietà, costituzionalmente tutelato, non può essere interpretata in maniera estensiva od analogica».
La Cassazione conferma la sentenza di secondo grado, ma con motivazioni completamente diverse.
Vero è, infatti, che secondo l’ormai consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità il trasferimento a titolo oneroso soggetto a prelazione commerciale non può consistere in negozi non qualificabili compravendita (così, Cass. 29 maggio 2012, n. 8567, secondo cui il conduttore di un immobile destinato ad uso commerciale non può esercitare il diritto di prelazione di cui all’art. 38 l. 392/1978 se il locatore, avente la veste di società commerciale, trasferisca a terzi le quote sociali, oppure si fonda per incorporazione in altra società: la cessione delle quote, infatti, non mutando la titolarità del bene locato, non costituisce un “trasferimento” in senso stretto, né l’art. 38 della l. 392 del 1978 accorda al conduttore il diritto di prelazione nel caso di trasferimenti effettuati con negozi diversi dalla compravendita. Nello stesso senso Cass. 28 luglio 2005, n. 15813, in Riv. Not., 2006, 1055, con nota di Ungari Trasatti, L’oggetto della cosiddetta prelazione cinematografica; Cass. 24 ottobre 1983, n. 6256, in Foro it., 1983, I 3004, con nota di Piombo).
Si è, quindi, escluso il diritto di prelazione nelle ipotesi di permuta (Cass. 6 maggio 2003, n. 6867, in Rassegna delle locazioni e del condominio, 2004, 453, con nota di De Tilla, Prelazione e permuta dell’immobile locato; Cass. 16 maggio 1991, n. 5519, in Giust. Civ., 1991, 1657, con nota di Triola, Due questioni in tema di prelazione urbana; Cass. 22 giugno 2006, n. 14455, in Rassegna delle locazioni e del condominio, 2006, 371; Cass. 30 luglio 2007, n. 16853) e in quelle di conferimenti nel capitale di società (Cass. 17 luglio 2012, n. 12230, in Riv. Not., 2013, 106, con nota di Scudieri, Ambito applicativo del diritto di prelazione di cui all’art. 38 L. n. 392/1978, con particolare riferimento all’ipotesi del conferimento in società di bene immobile urbano ad uso non abitativo; Cass. 15 gennaio 2014, n. 710).
Tuttavia, secondo la Cassazione tale considerazione non rileva nel caso di specie, in quanto la società ha effettivamente ceduto gli immobili ai propri soci a titolo oneroso, benché avvalendosi delle agevolazioni previste dalla l. 208/2015.
A tal proposito si deve rilevare come l’assegnazione agevolata di beni ai soci possa costituire l’esito di una molteplicità di operazioni sociali tra loro eterogenee. La società potrebbe, infatti, assegnare ai soci un bene nei seguenti casi: liquidazione della partecipazione in sede di recesso o esclusione, riduzione reale del capitale, distribuzione di utili o riserve in natura, restituzione di finanziamenti o versamenti dei soci e, infine, ripartizione dell’attivo in sede di liquidazione della società.
Al di fuori delle predette operazioni, il trasferimento di beni ai soci potrà avvenire solo se legittimato da un’autonoma causa negoziale, da rintracciare nelle figure contrattuali tipiche o atipiche aventi ad oggetto il trasferimento di un diritto (compravendita, permuta, donazione, leasing, rent to buy etc.).
La circostanza che il legislatore abbia disciplinato un trattamento fiscale agevolato per le assegnazioni di beni ai soci non significa, dunque, l’introduzione di una nuova causa negoziale tipica che consenta il trasferimento di beni dalla società ai soci al di fuori delle ordinarie regole, dettate in materia societaria o contrattuale, sul trasferimento dei beni. Deve pertanto ritenersi che la disciplina fiscale non autorizzi di per sé l’attribuzione indiscriminata e senza limiti di elementi patrimoniali dalla società ai soci, la quale deve, invece, essere sempre ricondotta nell’alveo delle ipotesi tipiche di legittimo trasferimento di valori da una società ai suoi soci (come peraltro sostenuto autorevolmente anche riguardo a precedenti disposizioni di analogo tenore ma non così esplicite. Sul punto, in particolare, Angelici, Art. 29 della legge finanziaria ed assegnazione di beni in natura, in Consiglio Nazionale del Notariato, Studi e materiali, 6.1, Milano, 2001, 108 ss.).
Ora, nel caso all’esame dei giudici le parti hanno fatto ricorso allo schema della compravendita, in quanto gli immobili sono stati assegnati ai soci, fruendo delle agevolazioni previste dalla l. 208/2015, previo versamento di un corrispettivo in denaro.
Secondo la Cassazione la questione della spettanza o meno del diritto di prelazione non si risolverebbe, allora, in base alla mera definizione del negozio come trasferimento a titolo oneroso, quale effettivamente – nello specifico caso in esame – è; per i giudici «la soluzione, invero, si rinviene più profondamente nella peculiare struttura del negozio oneroso, ed appalesa come è il legislatore che plasma l’atto di trasferimento oneroso per renderlo idoneo ad una vera e propria causa tributaria che viene affiancata, quale specialità del negozio, alla ordinaria causa della compravendita».
In altri termini, se, da un lato, le norme sulle assegnazioni agevolate ai soci attengono esclusivamente al trattamento fiscale di tali operazioni e, quindi, la disciplina in esse contenuta non appare idonea ad alterare l’inquadramento civilistico di tali operazioni, dall’altro lato, secondo la Cassazione, «non può però sostenersi che l’agevolazione fiscale sottesa a questo specifico dispositivo sia davvero esterna/estranea alla formazione della volontà negoziale delle parti. Al contrario, le parti fruiscono del dispositivo […] per ottenere quel che è insito nel peculiare paradigma tributario che il legislatore per esso ha configurato: e si comprende, allora, la ragione per cui il legislatore ha scelto espressamente le parti di questo speciale negozio; e non solo le parti, ma altresì l’oggetto del negozio».
Posto, quindi, che le ragioni “tributarie” si affiancano all’ordinaria causa della compravendita, «idoneo a consentire la realizzazione di tale funzione economico-giuridica non può essere, allora, l’inserimento di un cessionario qualunque, ma esclusivamente il genere di cessionario che si è visto essere indicato direttamente dal legislatore del 2015».
La Cassazione conclude, quindi, nel senso che il diritto di prelazione da parte del conduttore dell’immobile non è compatibile con la cessione agevolata, né – conseguentemente – sussiste il correlato diritto di riscatto.
In precedenti pareri dell’Ufficio Studi si è, peraltro, esclusa la sussistenza della prelazione commerciale con riferimento a casi di assegnazione agevolata ai soci diversi dalla compravendita e riguardanti assegnazioni compiute nell’ambito di operazioni societarie, per le quali, quindi, l’assenza della controprestazione a carico del socio non avrebbe comunque consentito di rinvenire il requisito del corrispettivo e, quindi, i presupposti per l’applicazione dell’art. 38, l. 392/1978 (Risposta a Quesito n. 284-2016/I del 5 ottobre 2016, Assegnazione di beni ai soci e prelazione, estt. Boggiali – Ruotolo; Risposta a Quesito n. 279-2016/I del 29 settembre 2016, Assegnazione di beni ai soci e prelazione urbana, estt. Ruotolo – Boggiali; Risposta a Quesito n. 232-2017/I del 10 ottobre 2017, Assegnazione agevolata di beni ai soci e prelazione ex art. 38 legge 392/1978, estt. Ruotolo – Boggiali, tutte inedite).
Daniela Boggiali
22 ottobre 2019