DONAZIONE DI BENI ALTRUI – AMMISSIBILITA’ – LIMITI – EFFETTI
(Aprile 2016)
É stato di recente affrontato il problema, in chiave tale da richiedere l’intervento della Cassazione a Sezioni Unite, circa la validità della donazione di beni altrui, ed in via indiretta di quella della quota di proprietà pro indiviso, che ha trovato risposta nella sentenza del 15 marzo 2016, n. 5068.
Sul punto due sono gli orientamenti giurisprudenziali e dottrinali che tradizionalmente si sono espressi.
Il primo, prevalente, considera nulla la donazione di beni altrui richiamando a proprio favore le seguenti considerazioni.
In primis si evidenzia l’assenza di una disciplina specifica nel codice, a differenza di quanto prevede l’art.1478 c.c., per la vendita di cosa altrui.
In secondo luogo, per tale orientamento, la nullità è palesata nell’art. 771 c.c. che dispone della nullità della donazione di beni futuri intendendo la futurità del bene sia in senso oggettivo che soggettivo: sono beni futuri, non solo quelli non esistenti nel patrimonio del donante perché oggettivamente non esistenti in natura, ma anche quelli già esistenti in rerum natura ma non presenti nel patrimonio del donante, perché esistenti in quello di altro soggetto, e quindi, soggettivamente futuri.
A giustificazione di tale inciso, la giurisprudenza sottolinea che, nonostante l’art. 769 cod. civ. abbia assoggettato la donazione al principio consensualistico, è rilevante per la validità della donazione la necessaria immediatezza dell’arricchimento altrui e, dunque, dell’altrettanta necessaria appartenenza del diritto al patrimonio del donante al momento del contratto (1) – (ma questo imporrebbe un divieto per tutte le donazioni obbligatorie).
Particolarmente significativa è la nota sentenza della Cassazione n. 10356 del 2009, secondo cui “la donazione dispositiva di un bene altrui, benché non espressamente disciplinata, deve ritenersi nulla alla luce della disciplina complessiva della donazione e, in particolare, dell’art. 771 cod. civ., poiché il divieto di donazione dei beni futuri ricomprende tutti gli atti perfezionati prima che il loro oggetto entri a comporre il patrimonio del donante; tale donazione, tuttavia, è idonea ai fini dell’usucapione decennale prevista dall’art. 1159 cod. civ., poiché il requisito, richiesto da questa norma, dell’esistenza di un titolo che legittimi l’acquisto della proprietà o di altro diritto reale di godimento, che sia stato debitamente trascritto, deve essere inteso nel senso che il titolo, tenuto conto della sostanza e della forma del negozio, deve essere suscettibile in astratto, e non in concreto, di determinare il trasferimento del diritto reale, ossia tale che l’acquisto del diritto si sarebbe senz’altro verificato se l’alienante ne fosse stato titolare”(2).
Il secondo orientamento, nettamente minoritario, ma avallato da qualche sentenza della Cassazione (3), ritiene che la donazione di bene altrui integri non una causa di nullità, ma di inefficacia, limitandosi ad affermare la non operatività della nullità ex art. 771, primo comma, c.c., in considerazione della sua natura eccezionale, non suscettibile di applicazione analogica, ma non verificando la compatibilità della donazione di cosa altrui con la funzione e con la causa del contratto di donazione.
La Suprema Corte, nella recente sentenza del 15 Marzo 2016 n. 5068 punto di riferimento del presente approfondimento, andando controcorrente, apre la strada ad un terzo orientamento: la donazione di bene altrui è da considerarsi nulla non per applicazione analogica della disciplina delineata dall’art. 771 c.c., in quanto donazione di beni soggettivamente futuri, ma per mancanza della causa del contratto di donazione.
Il dispositivo della sentenza si allinea sulla tesi tradizionale mista della natura giuridica della donazione, ovvero costituita dall’aspetto soggettivo, animus donandi, ravvisato nella consapevolezza dell’uno di attribuire all’altro un vantaggio patrimoniale in assenza di qualsivoglia costrizione, giuridica o morale, e da quello oggettivo, ovvero depauperamento del donante e arricchimento del donatario (4).
Avendo in mente tale punto fermo, una lettura dell’art. 769 cod. civ. dovrebbe indurre a ritenere che l’appartenenza del bene oggetto di donazione al donante, affinché si verifichi il depauperamento con contestuale arricchimento del donatario, costituisca elemento essenziale del contratto di donazione, in mancanza del quale la causa tipica del contratto stesso non può realizzarsi e tale necessaria appartenenza del bene oggetto di donazione al patrimonio del donante è delineata in modo chiaro ed efficace dallo stesso art.769 c.c. attraverso l’inciso “un suo diritto”.
L’altruità della cosa comporta, dunque, la non configurabilità dello schema tipico del contratto di donazione, per mancanza di un elemento costitutivo la fattispecie, tale da non poter realizzare lo schema tipico del contratto, depauperamento del donante e contestuale arricchimento del donatario.
A sostegno della propria tesi, la Corte sottolinea come il codice del 1942 preveda una disciplina della vendita di cosa futura, diversa da quella di cosa altrui, una per la donazione di beni futuri, mentre nulla è stabilito per la donazione a non domino e ciò dovrebbe suggerire all’interprete di collegare il divieto di liberalità aventi ad oggetto cose d’altri alla struttura e funzione del contratto di donazione, piuttosto che ad un esplicito divieto di legge.
Come logica conseguenza ne discende che, integrando la causa del contratto un elemento essenziale ex art.1325 c.c., la mancanza della stessa comporta, ai sensi dell’art. 1418, secondo comma, c.c., la nullità del contratto in quanto l’altruità del bene non consente di ritenere integrata la causa del contratto di donazione.
La Cassazione conclude asserendo che “la donazione di bene altrui vale, pertanto, come donazione obbligatoria di dare, purché l’altruità sia conosciuta dal donante, e tale consapevolezza risulti da un’apposita espressa affermazione nell’atto pubblico (art. 782 cod. civ.). Se, invece, l’altruità del bene donato non risulti dal titolo e non sia nota alle parti, il contratto non potrà produrre effetti obbligatori, né potrà applicarsi la disciplina della vendita di cosa altrui”.
Alle medesime conclusioni deve pervenirsi per il caso in cui oggetto della donazione sia un bene solo in parte altrui, perché appartenente pro indiviso a più comproprietari per quote differenti e donato per la sua quota da uno dei coeredi. Non è, infatti, possibile distinguere tra “beni altrui” e beni “eventualmente altrui”, trattandosi, nell’uno e nell’altro caso, di beni non presenti nel patrimonio del donante al momento dell’atto.
La posizione del coerede che dona uno dei beni compresi nella comunione (ovviamente, nel caso in cui la comunione abbia ad oggetto una pluralità di beni) non si distingue in nulla da quella di qualsivoglia altro donante che disponga di un diritto che, al momento dell’atto, non può ritenersi incluso nel suo patrimonio.
La donazione, da parte del coerede, della quota di un bene indiviso compreso in una massa ereditaria è nulla, non potendosi, prima della divisione, ritenere che il singolo bene faccia parte del patrimonio del coerede donante.
A margine di queste brevi note va rilevato che tali conclusioni pongono un quesito non analizzato dalla Suprema Corte.
Ammessa la validità della donazione di bene altrui a determinate condizioni (donazione obbligatoria con conoscenza dell’altruità risultante dal negozio), ci si chiede se possa trovare applicazione l’art. 1478, secondo comma, c.c. previsto per la vendita di cosa altrui che fa acquistare la proprietà del bene al compratore, automaticamente, nel momento in cui il venditore ne acquista la proprietà dal titolare ovvero se sia necessario un ulteriore atto di trasferimento, in adempimento dell’obbligazione precedentemente assunta.
Brevemente si potrebbe rispondere che non sussistano particolari divieti o esigenze da tutelare che giustifichino l’impossibile estensione della disciplina ex art.1478 c.c.
L’unico caso, infatti, in cui nella disposizione di un diritto altrui è richiesta un’ulteriore manifestazione di volontà del soggetto adempiente è il caso del legato di cosa altrui ex art.651 c.c.
In tal caso, infatti, l’onerato è tenuto ad acquistare la proprietà della cosa dal terzo e trasferirla al legatario. Si richiedono, dunque, due atti traslativi in virtù dell’assenza di una manifestazione di volontà dell’onerato di assumere l’obbligo di procurare l’acquisto del bene altrui.
In conclusione, non essendo presente nella donazione di cosa altrui tale esigenza, in quanto il donante già esprime la volontà di obbligarsi nell’atto di donazione, non sussistono fondate cause interpretative, in stretto punto di diritto, che impediscano l’estensione analogica dell’art.1478 c.c.
a cura Maddalena Storti
(1)In tal senso: Cass. n. 3315 del 1979, Cass. n. 6544 del 1985;
(2) In tal senso anche Cass. n. 12782 del 2013;
(3) Cass. n. 1596 del 2001;
(4)Cass. n. 8018 del 2012; Cass. n. 12325 del 1998; Cass. n. 1411 del 1997; Cass. n. 3621 del 1980;