*Corte di Cassazione, Sezione II Civile, con la sentenza n. 18836 del 2016
Al riguardo va innanzi tutto evidenziato che, “in tema di edilizia agevolata, il sistema di determinazione del prezzo di cessione degli alloggi (cosiddetto prezzo prefissato) ha la finalità di facilitare l’acquisto della casa alle categorie più disagiate di cittadini e implica il divieto di pattuire prezzi superiori al limite massimo determinabile in base ai criteri legali, anche qualora l’eccedenza consegua all’accollo agli acquirenti degli oneri economici derivanti dal ricorso al mutuo ordinario in luogo del mutuo agevolato” (cosi Corte di Cassazione, n. 10987/2013; vedi anche Corte di Cassazione, n. 8138/2004).
Nel caso in esame, osserva la Cassazione, che l’art. 10 della Convenzione che il Comune di XXXX ha stipulato con la Società Cooperativa in data 26.5.1983 prevede che “Il prezzo di cessione dell’alloggio dovrà essere determinato tra il Comune ed il venditore sulla base del prezzo medio degli appalti di edilizia residenziale pubblica effettuati nella Provincia”.
In base a tale clausola della convenzione Comune/Cooperativa il prezzo di cessione agli assegnatari degli alloggi edificati dalla Cooperativa – inserito automaticamente per legge (appunto l’art. 35 della I. n. 865 del 1971) nelle cessioni da quest’ultima agli assegnatari (e, può aggiungersi, anche nelle cessioni successive, secondo i principi stabiliti dalla Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 18135/15) – è il prezzo medio degli appalti di edilizia residenziale pubblica effettuati nella Provincia, che nel giudizio di merito è stata determinata da una c.t.u. appositamente disposta in primo grado.
La Corte di appello di Roma è dunque incorsa nel denunciato vizio di violazione di legge laddove ha ritenuto che l’importo del corrispettivo complessivamente dovuto dal sig. SEMPRONIO potesse divergere dall’importo risultante in base al criterio, indicato dall’art. 10 della convenzione Comune/Cooperativa, del prezzo medio degli appalti di edilizia residenziale pubblica effettuati nella Provincia.
* Cassazione Civile, sez. II, sentenza 04/10/2016 n° 19793
Il vincolo di inalienabilità degli alloggi di edilizia agevolata previsto dal r.d. n. 1165 del 1938 ha natura temporanea e relativa, condizionata all’esistenza di autorizzazione, sicché non si traduce in un’incommerciabilità dell’immobile, né impedisce che il terzo possa divenire possessore del bene e, quindi, di usucapirlo, non trovando applicazione l’art. 1145 c.c. che si riferisce ai soli beni inalienabili in assoluto.
È quanto stabilito dalla Seconda Sezione della Cassazione con la sentenza n. 19793 depositata il 4 ottobre scorso.
Nei fatti analizzati dalla Corte veniva chiesto, ab origine, di accertare l’avvenuto usucapione di un immobile soggetto alla normativa di cui al R.D. n. 1165 del 1938, ovvero soggetto ai vincoli di previo riscatto e richiesta di autorizzazione ai fini della vendita, senza che però la parte richiedente l’usucapione avesse ottemperato a detti obblighi.
Il Regio Decreto 28 aprile 1938 n. 1165 (recante il testo unico delle disposizioni sull’edilizia popolare ed economica) dispone, all’art. 9, che “con preventiva autorizzazione può anche procedersi alla vendita di detti locali, impiegandone il ricavato secondo il disposto dell’art. 8, oppure all’affitto di essi devolvendo i relativi canoni al fondo per spese generali”, e all’art. 231 che “compiuto il riscatto col pagamento totale del prezzo il condomino acquista la facoltà di alienare liberamente ed a qualsiasi titolo il proprio alloggio e suoi accessori.
Tale facoltà può essergli accordata dal Ministero dei lavori pubblici nel caso di riscatto con pagamento immediato di almeno un terzo del prezzo, e frazionato per la rimanenza ai sensi dell’art. 141 purché la Cassa depositi e prestiti dia il suo consenso anche al fine di garantire il regolare pagamento delle somme ad essa dovute alle scadenze stabilite.”.
I convenuti eccepivano che la violazione dell’art. 1418 cod. civ. per violazione dell’art. 9 del RD. 1165 del 1938 e, comunque, ovvero la nullità per il divieto di vendere quote della proprietà prima del riscatto ai sensi dell’art. 231 del RD n. 1165 del 1938.
Il Tribunale di Roma, nel 2003, dichiarava nullo l’atto di cessione della proprietà del magazzino ai sensi dell’art. 1418 cod. civ. per violazione degli artt. 8 e 9 del RD n. 1165 del 1938 e non provato il periodo necessario al maturarsi dell’usucapione, rigettava le domande della parte attrice.
La Corte di Appello di Roma rigettava l’appello, confermando la sentenza impugnata.
Si giunse pertanto dinanzi alla Suprema Corte di Cassazione.
Ai sensi dell’art. 231 di detto decreto (applicabile ratione temporis) nonché della normativa di cui dei suddetti artt. 8 e 9, il condominio acquista la facoltà di alienare liberamente ed a qualsiasi titolo li proprio alloggio e suoi accessori dopo aver compiuto il riscatto col pagamento totale del prezzo. Tale facoltà può essergli accordata dal ministero dei lavori pubblici nel caso di riscatto con pagamento immediato di almeno un terzo del prezzo, e frazionato per la rimanenza ai sensi dell’art. 141 purché la cassa depositi e prestiti dia il suo consenso, anche al fine di garantire il regolare pagamento delle somme ad essa dovute alle scadenze stabilite. In ogni caso, e per lo spazio di cinque anni a decorrere dal 3 febbraio 1934, gli atti di alienazione devono essere comunicati al Ministero dei lavori pubblici che potrà opporsi, ove ve ne sia motivo. Non esercitandosi l’opposizione entro trenta giorni dalla recezione, l’atto di alienazione si intenderà approvato anche agli effetti dell’art. 81 della legge di registro 30 dicembre 1923 n. 3269 e diverrà eseguibile.
Si tratta, come è evidente, di una normativa finalizzata ad impedire che le cooperative edilizie e/o i condomini, mediante atti di disposizione di beni acquistati o realizzati con danaro pubblico, compiano operazioni speculative, vanificando o eludendo la prestabilita destinazione dei beni stessi.
Ciò posto va, però evidenziato che il vincolo di inalienabilità di cui si dice, temporaneo e relativo, in quanto non definitivo ed assoluto, impegna la Cooperativa e i singoli condomini ma non si traduce in una incommerciabilità del bene e non impedisce che un terzo possa divenire possessore del bene, anche nel tempo in cui sussiste quel vincolo, soprattutto, perché il possesso è una situazione di fatto che si manifesta in una attività corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà, cioè, ad una attività di godimento del bene uti dominus che non può essere impedita da un vincolo di inalienabilità, basti pensare che il legittimo proprietario (la Cooperativa o il condomino) nonostante il vincolo di inalienabilità possiede il bene.
A sua volta, trattandosi di un vincolo di inalienabilità temporaneo e/o semplicemente condizionato alla sussistenza di talune autorizzazioni, la fattispecie non potrà essere ricondotta alla normativa di cui all’art. 1145 cod. civ. secondo cui il possesso delle cose di cui non si può acquistare la proprietà non ha effetto perché quella normativa, come riconosce la dottrina più attenta, si riferisce ai beni inalienabili in assoluto, che possono identificarsi in genere nei beni incommerciabili e nei beni demaniali, o, comunque, nei beni non suscettibili di essere oggetto di diritti a favore dei privati.
* CASSAZIONE, SEZ. 3 , SENTENZA N. 6493 DEL 14/03/2017
L’assegnatario provvisorio di un immobile di edilizia residenziale pubblica ai sensi dell’art. 11, comma 1, n. 6, della l.r. Veneto n. 10 del 1996, come modificata dalla l.r. n. 14 del 1997, è tenuto al pagamento del canone secondo la norma generale dell’art. 1591 c.c. e non anche secondo la previsione dell’art. 18, comma 1, lett. c), della stessa legge regionale, correlata al diverso presupposto della decadenza del beneficiario da un’assegnazione definitiva dell’alloggio.