*Trib. Roma, 26 gennaio 2018
Il Tribunale di Roma, con sentenza del 26 gennaio 2018, nega al singolo consigliere di amministrazione la legittimazione ad impugnare la delibera assembleare di revoca del c.d.a. ai sensi dell’art. 2377, c.c.
Quest’ultimo, infatti, riconosce il potere di impugnare le delibere di s.p.a. che non siano state prese in conformità della legge o dello statuto ai soci assenti, dissenzienti od astenuti che possiedano tante azioni aventi diritto di voto con riferimento alla deliberazione che rappresentino, anche congiuntamente, l’uno per mille del capitale sociale nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio e il cinque per cento nelle altre, dagli amministratori, dal consiglio di sorveglianza e dal collegio sindacale.
Nel caso, poi, di revoca dell’amministratore vero è che questi, anche laddove la delibera di revoca non sia assistita da giusta causa, non ha una tutela reale, non essendo configurabile un diritto a rimanere o ad essere reintegrato nella propria carica; e, tuttavia, l’amministratore revocato mantiene la propria legittimazione ad impugnare la deliberazione di revoca qualora intenda lamentare che la stessa non sia stata correttamente assunta.
La legittimazione degli amministratori ad impugnare le deliberazioni assembleari si fonda, infatti, non già su un proprio interesse, ma sull’esigenza di tutela dell’interesse generale alla legalità societaria – e, in particolare, ad una corretta formazione delle decisioni degli organi societari – che implica l’esistenza di un diritto ad impugnare anche nel caso in cui la decisione invalida sia stata approvata dai soci all’unanimità, essendo ciò espressione del potere e dovere dell’organo gestorio di assicurare la legalità dell’attività sociale (sul punto i richiami a Cass., 1 marzo 1973, n. 562, in Dir. fall., 1973, II, 591; Cass., 2 agosto 1977, n. 3422, in Giur. comm., 1978, II, 24; Cass., 18 giugno 2005, n. 13169, in Foro it., 2006, I, 2864, non appaiono del tutto pertinenti, trattandosi di fattispecie nelle quali veniva in considerazione l’interesse proprio dell’amministratore e non quello della società).
Con riferimento, in particolare, alla legittimazione ad impugnare da parte dell’amministratore cessato, mentre si tende normalmente ad escludere tale legittimazione in caso di scadenza dell’incarico (con riguardo alla nomina dei nuovi amministratori, Trib. Roma, 27 aprile 1998, in Società, 1998, 1442), si riconosce la legittimazione all’organo revocato ove appunto la delibera oggetto di impugnazione sia quella con cui tale revoca è stata disposta: soluzione che invero potrebbe esser condivisa ove il vizio lamentato fosse riconducibile alla non conformità a legge o statuto, e non, come detto, a mancanza di giusta causa, che trova il suo correttivo solo sul piano risarcitorio.
La sentenza in rassegna, insomma, non esclude che sussista una legittimazione ad impugnare la delibera da parte dell’organo amministrativo revocato.
Ciò posto, tuttavia, in presenza di un organo gestorio collegiale, tale legittimazione compete al consiglio di amministrazione e non al singolo amministratore (in dottrina, Spagnuolo, sub art. 2377, in Sandulli – Santoro, La riforma delle società, 2/I, Torino, 2003, 354; Guerreri, sub art. 2377, in Maffei Alberti, Il nuovo diritto delle società, I, Padova, 2005, 533; Salafia, L’invalidità delle deliberazioni assembleari nella riforma societaria, in Società, 2003,1177 ss.; Iannicelli, Profili processuali delle impugnazioni delle deliberazioni assembleari di società per azioni, Salerno, 2008, 130; Sanzo, Sub art. 2377, in Cottino – Bonfante – Cagnasso – Montalenti, Il nuovo diritto societario,
II, Bologna, 2008, 619; Lener, Sub art. 2377, in Niccolini – Stagno d’Alcontres, Società di Capitali. Commentario, Napoli, 2004, 553).
In tal senso il Tribunale riproduce la massima di Cass. 12 gennaio 2010, n. 259, relativa ad una fattispecie anteriore alla riforma del diritto societario, secondo cui nell’ipotesi in cui la deliberazione consiliare di convocazione dell’assemblea di una società di capitali sia stata assunta all’esito di una riunione, alla quale un suo componente non sia stato convocato, il medesimo può impugnare la deliberazione consiliare per la mancata convocazione nei suoi confronti, ma, in mancanza di tale impugnazione, la deliberazione assunta dall’assemblea in seguito convocata non può essere impugnata dall’amministratore che deduca il vizio di convocazione, in quanto egli è privo di legittimazione attiva al riguardo, posto che il potere di impugnare le deliberazioni assembleari che non siano state prese in conformità della legge o dell’atto costitutivo, riconosciuto agli amministratori della società per azioni dall’art. 2377, comma 2, c.c., spetta al consiglio di amministrazione e non agli amministratori individualmente considerati, salvo che il consigliere di amministrazione sia stato immediatamente leso in un suo diritto dalla deliberazione stessa.
Orientamento, questo, che ribadisce quanto già affermato da Cass. 24 aprile 1963, n. 1084 (in Foro it., 1963, I, 1425) e, più recentemente, da Cass. 5 giugno 2003, n. 8992 (in Foro it., 2003, I, 3007, con nota di Rordorf. Fra le pronunce di merito, Trib. Milano, 8 febbraio 2006, in Società, 2007, 1411, secondo cui il potere, riconosciuto agli amministratori della società per azioni dal comma 2 dell’art. 2377 c.c., d’impugnare le deliberazioni dell’assemblea della società che non siano state prese in conformità della legge o dell’atto costitutivo, spetta al consiglio di amministrazione, ove statutariamente previsto, e non agli amministratori stessi individualmente considerati, atteso che tale potere è attribuito agli “amministratori” per la tutela degli interessi sociali, e dunque richiede una deliberazione dell’organo incaricato di detta tutela, il quale, nella società retta da un consiglio di amministrazione, si identifica, appunto, nel consiglio, e non nei singoli componenti di esso. Trib. Milano 28 giugno 2012, in www.giurisprudenzadelleimprese.it; Trib. Biella 23 maggio 2005, in www.ilcaso.it; Trib. Palermo 18 maggio 2001, in Giust. civ., 2001, I, 1944. In senso rigoroso, Trib. Torino, 30 gennaio 2015, in Società, 2016, 342, secondo cui l’amministratore di una S.p.a. non è legittimato a chiedere l’annullamento ex art. 2377 c.c. della delibera assembleare con cui viene promossa l’azione di responsabilità sociale nei suoi confronti, qualora, al momento dell’approvazione della delibera, abbia rinunciato alla propria carica né con l’impugnazione rivendichi di essere reintegrato in tale carica).
Ne discende, quindi, che, nel caso in esame, va esclusa la legittimazione all’impugnazione in capo a al singolo componente del c.d.a., spettando la stessa al Consiglio di Amministrazione e non potendosi ritenere che la delibera impugnata abbia immediatamente leso un diritto del predetto, non avendo l’amministratore un diritto soggettivo alla permanenza nella sua carica.