RAGIONE SOCIALE DI S.A.S. E RESPONSABILITA’ ILLIMITATA

Cognome dell’accomandante nella ragione sociale di s.a.s. e responsabilità illimitata (Cass. 29 novembre 2018, n. 30882)
La Corte di Cassazione, nell’ Ordinanza 29 novembre 2018, n. 30882, afferma il seguente principio di diritto: «ai fini dell’estensione della responsabilità illimitata del socio accomandante di società in accomandita semplice che consenta che il suo nome sia compreso nella ragione sociale, ai sensi dell’art. 2314, comma 2, cod. civ., rileva il solo contenuto oggettivo della ragione sociale stessa, dal quale risulti che l’accomandante sia presentato alla stessa stregua di un socio accomandatario, in modo da ingenerare oggettiva confusione sul ruolo da lui svolto nella società».

La vicenda riguardava l’estensione del fallimento di una società in accomandita semplice – la cui ragione sociale era composta dal cognome di un socio accomandante, dall’indicazione generica dell’attività svolta e dal nome completo dell’accomandatario preceduto dalla proposizione “di” – al socio accomandante ai sensi dell’art. 147, l. fall.

Il Tribunale, su istanza della curatela del fallimento della s.a.s. e dell’accomandataria, aveva infatti esteso il fallimento, in applicazione del combinato disposto degli artt. 2314, comma 2, c.c. e 147 legge fall. al socio accomandante il quale aveva proposto opposizione, adducendo l’inesistenza dei presupposti dichiarando di non essersi mai ingerito nell’amministrazione della società e di esser uscito dalla compagine tre anni prima della dichiarazione di fallimento. L’opposizione veniva rigettata osservando il Tribunale che in un contesto territoriale e commerciale ristretto come quello in cui operava la società fallita il cognome dell’accomandante, inserito nella ragione sociale, non poteva che richiamare univocamente ai fornitori e ai terzi la persona dell’accomandante che faceva parte della compagine ed era sufficiente a consentire l’applicazione della disciplina prevista dall’art. 2314 c.c.

A sua volta, la Corte d’appello, respingendo l’impugnazione dell’accomandante, osservava come il disposto dell’art. 2314, comma 2, c.c. potesse trovare applicazione anche in presenza dell’indicazione del solo cognome senza prenome ove questo appellativo fosse talmente conosciuto da coloro che entravano in affari con la società da consentire a costoro di individuare con certezza e senza equivoci la persona che era così contraddistinta; una simile evenienza poteva essere desunta nel caso di specie dall’assenza di alcuna soluzione di continuità fra l’esercizio dell’impresa individuale dell’accomandante e la prosecuzione della medesima attività da parte di della s.a.s. in locali confinanti, tenuto conto che la ditta individuale e la società avevano operato in ambienti contigui per quasi due anni, e della presenza dell’accomandante nei locali della società anche in epoca successiva alla fine dell’attività dell’impresa individuale, con le medesime modalità e con comportamenti tutti riferibili all’attività della compagine sociale. L’indicazione del solo cognome nella ragione sociale risultava così più che sufficiente, a dire del collegio d’appello, per configurare l’ipotesi di cui all’art. 2314, comma 2, c.c.

Per la Suprema Corte, l’art. 2314, comma 2, c.c. – il quale dispone che «l’accomandante, il quale consenta che il suo nome sia compreso nella ragione sociale, risponde di fronte ai terzi illimitatamente e solidalmente con i soci accomandatari per le obbligazioni sociali» – è norma volta a tutelare l’affidamento dei terzi creditori nella responsabilità illimitata del socio che, pur non essendolo, si è tuttavia presentato (ha consentito di essere presentato) alla stessa stregua di un socio illimitatamente responsabile, id est – nella società in accomandita semplice – di un socio accomandatario.

Intanto ci può essere confusione – e conseguente affidamento – in quanto l’indicazione dell’accomandante sia posta sullo stesso piano di quella dell’accomandatario; in altri termini la confusione si verifica se l’accomandante è indicato come se fosse un accomandatario.

Posto che la norma intende disciplinare una forma di esteriorizzazione della designazione della compagine sociale potenzialmente ingannevole a discapito dei terzi, è evidente che ai fini della sua applicazione è necessario avere riguardo al solo dato formale costituito dal contenuto della ragione sociale. La ragione sociale deve essere, pertanto, di per sé rivelatrice di una rappresentazione dell’accomandante in termini che non appaiano conformi al suo reale tipo di partecipazione e pongano il medesimo su un piano coincidente con quello dell’accomandatario.

Di qui, dunque, il principio di diritto sopra riportato al quale evidentemente i giudici di merito non si erano attenuti, dando anzi erroneamente rilievo a fatti e condotte – in particolare, il comportamento dell’accomandante – esterne al dato formale costituito dal contenuto della ragione sociale.

Nel caso di specie, la ragione sociale – in cui l’accomandatario è menzionato con il nome nella sua interezza posto dopo l’indicazione della partecipazione al rapporto sociale (“di”), mentre il solo cognome e non il nome completo dell’accomandante è indicato in una collocazione, anteriore a quella dell’accomandatario e non retta dalla proposizione “di”, assolutamente non indicativa di una partecipazione a un rapporto societario e tanto meno di un ruolo svolto al suo interno – non appare idonea a presentare l’accomandante alla stessa stregua di un socio accomandatario ed è, quindi, priva di valenza ingannevole. Va pertanto escluso che una ragione sociale così formulata possa dar luogo all’applicazione della responsabilità illimitata ex art. 2314, comma 2, c.c.

La pronuncia è di particolare interesse in quanto pone chiaramente in luce quali siano i limiti entro quali l’inserimento di riferimenti all’accomandante nella ragione sociale della s.a.s. non comporti le conseguenze di cui al comma 2 dell’art. 2314, c.c.

Invero, la questione del rilievo, ai fini dell’art. 2314, comma 2, c.c., dell’inserimento del solo cognome dell’accomandante era stata già in passato affrontata dalla giurisprudenza di merito, che, nelle pronunce meno risalenti aveva affermato come l’inserimento del solo cognome dell’accomandante nella ragione sociale non desse luogo a responsabilità illimitata ex art. 2314 c.c. da parte dell’accomandante stesso (così Trib. Velletri 24 giugno 1992, in Riv. dir. comm., 1992, II, 495, con riguardo ad una ragione sociale il cui contenuto era pressoché identico a quello di cui alla sentenza in rassegna. Più recentemente, Comm. trib. reg. Bologna, Emilia-Romagna sez. VIII, 25 gennaio 2016, n. 120. Nello stesso senso, in precedenza, App. Firenze, 1° settembre 1961, in Giur. Tosc., 1961, 603, in riforma di Trib. Pistoia, 30 agosto 1957, in Dir. fall., 1957, II, 724, ove la questione era quella se fossero illimitatamente responsabili gli accomandanti, congiunti dell’accomandatario, nel caso di ragione sociale in cui all’indicazione del nome completo di quest’ultimo, seguiva l’espressione «e Fratelli»).

L’argomento era qui rappresentato dalla circostanza che il «nome» dell’accomandante deve intendersi, ai sensi dell’art. 6, comma 2, c.c., come comprensivo del prenome e del cognome, non essendo, quindi, sufficiente, al fine di integrare la fattispecie di cui al comma 2 dell’art. 2314, c.c., la sola indicazione del cognome.

Va ricordato come in dottrina si sottolinei l’analogia con la conseguenza prevista dell’art. 2320 per l’ipotesi di violazione del divieto di immistione, pur essendone probabilmente diverse le rispettive rationes.

Secondo la dottrina e la giurisprudenza più diffuse, la ratio del divieto di immistione risiede nella volontà del legislatore di conservare le caratteristiche tipiche della società in accomandita semplice e nel tutelare, attraverso la necessaria correlazione tra esercizio del potere economico ed assunzione di un rischio illimitato, l’interesse pubblico ad una responsabile conduzione dell’attività amministrativa (Cass. 27 aprile 1994, n. 4019; Galgano, Le società in genere. Le società di persone, in Tratt. Cicu- Messineo, Milano, 1982, 467; Montalenti, Il socio accomandante, Milano, 1985, 326; Giannattasio, nota a Cass. 19 dicembre 1978, n. 6085, in Giust. civ., 1979, I, 418; Taurini, Inserimento del nome dell’accomandante nella ragione sociale di s.a.s., nota a Trib. Treviso 7 ottobre 1999, in Società, 2000, 241 ss.).

Per alcuni, una ratio analoga ricorrerebbe anche nella previsione del comma 2 dell’art. 2314, che sarebbe volta a reprimere l’abuso del socio che assume, all’interno della società, una posizione corrispondente a quella di un socio in nome collettivo fruendo del beneficio della responsabilità limitata, essendo indicato nel contratto di società come socio accomandante (Galgano, Le società in genere. Le società di persone, cit., 387).

Ma la dottrina prevalente (Montalenti, Il socio accomandante, cit., 350; Graziani, Studi di diritto civile e commerciale, Napoli, 1953, 439; Campobasso, Diritto Commerciale. II. Diritto delle società, Torino, 1988, 132; Taurini, Inserimento del nome dell’accomandante nella ragione sociale di s.a.s., cit., 241 ss. In giurisprudenza, Cass. 20 novembre 1964, n. 2775, in Foro it., 1965, I, 335) ritiene che la ratio risieda nella tutela dell’affidamento dei terzi. Un interesse che l’art. 2314 tutela con il correttivo della perdita del beneficio della responsabilità limitata per tutte le obbligazioni sociali per l’accomandante, che comunque non acquista il diritto di partecipare all’amministrazione sociale, dovendosi in ogni caso escludere che, in dipendenza di tale irregolarità, la società si converta in società in nome collettivo (Ferrara – Corsi, Gli imprenditori e le società, Milano, 2001, 339).

Un indice in tale senso viene rinvenuto nella stessa formulazione dell’art. 2314, comma 2, ove si prevede che «l’accomandante il quale consenta che il suo nome sia compreso nella ragione sociale della società in accomandita semplice risponde delle obbligazioni sociali di fronte ai terzi, solidalmente ed illimitatamente con i soci accomandatari. La norma, dunque, vale esclusivamente ad ampliare la tutela dei terzi, senza interferire in alcun modo con il regime di regolazione dei rapporti endosocietari» (così Taurini, Inserimento del nome dell’accomandante nella ragione sociale di s.a.s., cit., 244).

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