RECESSO SOCIO SNC-IPOTESI DI RECESSO AD NUTUM

*Tribunale di Roma 27 febbraio 2015, sentenza depositata il 4 marzo 2015
In primo luogo, il Tribunale riconosce il diritto di recedere dal rapporto societario, ai sensi dell’art. 2285 comma 1 e 3 c.c., laddove il contratto sociale stabilisca la durata della società per un tempo indubbiamente superiore alle aspettative di vita media (ne caso di specie fino al 31 dicembre 2200), ipotesi assimilabile a quella della costituzione di società a tempo indeterminato, con conseguente diritto dei soci di recedere ad nutum, salvo il preavviso di tre mesi stabilito dalla norma richiamata.
Si tratta di un orientamento che è stato di recente condiviso anche dalla La Corte di Cassazione, sez. I, che con la sentenza 23 aprile 2013, n. 9662, ha afferma il principio di diritto secondo cui lo stabilire una durata della società ad un termine assai lontano nel tempo (nel caso di specie, l’anno 2100) equivale allo stabilire una durata a tempo indeterminato: pertanto, la delibera con cui tale durata viene ridotta comporta l’eliminazione di una causa di recesso con conseguente riconoscimento del diritto di recesso ai soci assenti o dissenzienti (la sentenza è rinvenibile in CNN Notizie del 24 aprile 2013, con commento di RUOTOLO – PAOLINI, Durata della società e recesso legale).
In secondo luogo, il Tribunale – a fronte di un recesso che era stato comunicato dapprima verbalmente e solo successivamente formalizzato con dichiarazione scritta e trasmessa con lettera raccomandata, sottolinea come il recesso sia atto unilaterale recettizio che non soggiace, secondo uniforme giurisprudenza, ad alcun requisito di forma, ma che lo stesso non può ritenersi esercitato laddove, in caso di comunicazione verbale, non sia possibile la prova della sua reale effettuazione e del suo recepimento da parte del destinatario.
Pertanto, fermo restando il principio della libertà delle forme di manifestazione del recesso, si afferma che il ricorso ad una dichiarazione non scritta rende difficile la prova dell’esercizio di tale facoltà.
Occorre, peraltro, segnalare che la dichiarazione del socio non esaurisce di per sé il procedimento di cessazione del rapporto sociale rispetto al recedente, in quanto esso dà luogo a un procedimento complesso, che determina una variazione nel numero dei soci, la riduzione del patrimonio sociale, e la modifica della misura di partecipazione agli utili ed alle perdite. E si è altrove sottolineato come ciò implichi un ulteriore atto, per il quale occorre la forma pubblica o l’autenticazione delle sottoscrizioni ex art. 11, comma 4, D.P.R. 581/1995, idoneo a consentire l’iscrizione nel registro delle imprese delle modifiche dei patti sociali derivanti dal recesso del socio (BOGGIALI – RUOTOLO, La direttiva del MISE d’intesa con il ministero della giustizia in tema di decesso, recesso ed esclusione da società di persone, in Cnn Notizie del 27 maggio 2015).
In terzo luogo, infine, il Tribunale afferma come, in sede di liquidazione, il valore della quota deve essere determinato, ai sensi dell’art. 2289 comma 2 c.c., avuto riferimento alla situazione patrimoniale della società nel giorno in cui si verifica lo scioglimento, attribuendo ai beni il loro valore effettivo e non quello prudenziale con il quale gli stessi sono iscritti a bilancio.
A tal fine, viene riconosciuta la spettanza degli interessi legali ai sensi dell’art. 1224 c.c. e dell’art. 1219 n. 3 c.c., trattandosi di obbligazione avente ad oggetto una somma di denaro, mentre non spetta invece la rivalutazione monetaria, trattandosi di obbligazione di valuta, come tale soggetta al principio nominalistico.

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