IL SOTTILE LIMITE TRA PRELIMINARE DI VENDITA E VENDITA OBBLIGATORIA

Il sottile limite tra preliminare di vendita e vendita obbligatoria

Riflessioni sulla sentenza della Corte di Cassazione n. 14036/ 2007

 

In tema di interpretazione del contratto la norma principe è l’articolo 1362 c.c. il quale prevede, nell’ambito della gerarchia dei criteri ermeneutici interpretativi, l’adozione del metodo valutativo della “comune intenzione delle parti”. Detto canone deve considerare il comportamento complessivo delle parti, anche posteriore alla conclusione del contratto, senza limitarsi al solo senso letterale delle parole usate nel negozio giuridico oggetto di analisi.

L’evoluzione giurisprudenziale sulla gerarchia dei criteri ermeneutici nel processo interpretativo ha visto inizialmente una propensione verso l’applicazione prevalente del metodo letterale,unitamente a quello logico-sistematico, rispetto al criterio della comune volontà delle parti, il cui utilizzo restava confinato ad un uso sussidiario, solo ove il dato letterale fosse incerto e mediato. Tant’è che in caso di discostamento dal contenuto letterale si riteneva necessario esplicitare le ragioni di detta scelta con riferimento ad un uso ambiguo o atecnico del lessico usato.

Successivamente si è assistito ad un’inversione di tale tendenza, tuttora prevalente, che ha portato all’affermazione della necessità di realizzare il processo interpretativo mediante la considerazione in primis di elementi intrinseci ed estrinseci al contenuto negoziale ed attinenti alla “comune volontà” delle parti, e quindi al loro comportamento complessivo, anche ove il dato letterale fosse stato abbastanza chiaro. Pertanto in conformità al dettato dell’articolo 1362 c.c. si ritiene che il canone ermeneutico da applicare preminentemente sia quello della “comune intenzione delle parti”.

Si precisa che il “comportamento complessivo” va riferito sia alla fase anteriore alla stipulazione, comprensiva anche delle trattative, che a quella conclusiva e successiva, avuto sempre riguardo ad entrambe le parti.

In sede di qualificazione di un contratto concluso, nella scelta interpretativa tra preliminare e definitivo di vendita, la Corte di Cassazione in molti pronunciati ha ribadito che non risultano decisive a tal riguardo né le parole usate, né l’eventuale riserva di nomina o l’autorizzazione alla vendita, né la consegna anticipata del bene o il pagamento del prezzo, né soprattutto il nomen iuris dato allo stesso contratto dalla volontà delle parti. Ciò che rileva è la loro comune e complessiva intenzione.

Le suddette fattispecie contrattuali (preliminare/vendita) divergono nettamente nel contenuto avendo ad oggetto il contratto preliminare un particolare facere, consistente nell’assunzione dell’obbligo a prestare il successivo consenso al trasferimento conformemente alle pattuizioni contenute nello stesso, mentre nel contratto definitivo di vendita, ancorché con effetti obbligatori in cui si realizza un  differimento del momento traslativo, sussiste la volontà attuale di trasferire un diritto su di un bene contestualmente o successivamente alla conclusione del contratto, senza il compimento di ulteriori atti negoziali (dottrina e giurisprudenza prevalenti).

In virtù dell’applicazione del citato criterio ermeneutico la S.C. nella nota e condivisibile sentenza n. 14036 del 15-06-2007 individua nella fattispecie sottoposta al suo sindacato la sussistenza di un contratto preliminare e non di una vendita obbligatoria, al di là del tenore lessicale utilizzato nell’atto, riaffermando a pieno titolo il normato di cui all’articolo 1362 c.c. e la prevalenza nell’attività d’indagine della reale e comune intenzione delle parti, valutando anche a posteriori il loro comportamento senza, appunto, limitarsi al senso e al tenore letterale delle parole usate.

In virtù della diversità sostanziale ed effettuale tra contratto preliminare e contratto definitivo di vendita, e della diversa collocazione dei medesimi nel procedimento formativo della volontà contrattuale, la Suprema Corte con la sentenza de quo, nel rimarcare le suddette differenze, ha statuito che sia in caso di inadempimento dell’obbligo di prestare il consenso alla stipulazione, che in caso di inadempimento dell’obbligo di trasferimento scaturente da una vendita obbligatoria, sarà possibile comunque chiedere al giudice di accertare l’avvenuto trasferimento,  ottenendo giudizialmente la proprietà della cosa.

La S.C. precisa che ai fini dell’ottenimento del suddetto trasferimento e relativo accoglimento della domanda giudiziale di esecuzione in forma specifica di cui all’articolo 2932 c.c.,è necessario altresì che la medesima contenga quale oggetto principale detta specifica richiesta, pena l’impossibilità di pronunciare la relativa sentenza. Ciò deriva dal fatto che l’azione de quo rappresenta una forma di tutela specifica di un interesse, alterato da una determinata situazione giuridica, mediante l’emanazione di un provvedimento giurisdizionale modificativo di uno stato giuridico lesivo e finalizzato alla rimozione dello stesso ed al soddisfacimento dell’interesse sotteso alla domanda. Detto effetto non può realizzarsi mediante un giudicato promosso sulla base di una diversa domanda, che nel caso specifico trattato dalla S.C. inerisce la sola qualificazione giuridica del negozio, ma deve avere ad oggetto la richiesta specifica di esecuzione del contratto ex articolo 2932 c.c.

Pertanto in entrambi i casi sarà esperibile, laddove processualmente possibile, l’azione di esecuzione in forma specifica di cui all’articolo 2932c.c. con l’evidente differenza che nella ipotesi di preliminare la sentenza avrà natura costitutiva, mentre nel caso di vendita obbligatoria avrà natura meramente ricognitiva dell’operatività dei principi generali vigenti in materia nel nostro ordinamento.

Questa sentenza ha l’indubbio merito di aver avvalorato, già da tempo, le condivisibili nuove frontiere di interpretazione dei negozi giuridici, ponendo al centro del metodo ermeneutico la reale volontà ed il comportamento complessivo, anche postumo, delle parti.

Notaio Gennaro Fiordiliso

Dott.ssa Jessica Mauro

 

Civile Sez. II sentenza n. 14036 del 15.06.2007

Il quesito: • L’utilizzo di espressioni quali “vende”, “acquista”, “cede”, sono di per se idonee a qualificare il contratto di compravendita o è necessaria una ulteriore indagine sulla effettiva volontà delle parti? Il caso Con scrittura privata del 1976 Tizio e Caio si accordano sulla vendita di un bene immobile. Il contratto, rubricato “vendita”, prevede che Tizio vende e cede l’immobile con la più ampia garanzia di legge, e che il traferimento della proprietà avverrà nello stato di manutenzione in cui si trova attualmente il bene. A tale atto avrebbe dovuto fare seguito un rogito notarile di compravendita, mai stipulato. Nel 1984 Caio cita in giudizio Tizio per ottenere una sentenza di accertamento dell’avvenuto trasferimento del bene. L’attore sostiene, infatti, che già nel 1976 le parti hanno manifestato la volontà di trasferire l’immobile, stipulando un atto che era una vera e propria compravendita, dalla quale nasceva il successivo abbligo di trasferire il bene. Tale effetto deve ritenersi Copyright © – Riproduzione riservata Pagina 1 di 4 automaticamente realizzato decorso inutilmente il termine della stipula del rogito. Il Tribunale di primo grado accoglie la domanda e dichiara gli eredi di Caio, ormai defunto, proprietari del bene e debitori nei confronti di Tizio del residuo prezzo. Tizio appella la sentenza sostenendo che con la scrittura privata del 1976 le parti non volevano trasferire la proprietà dell’immobile, bensì assumere un obbligo a trasferirlo con il successivo atto notarile. Tale volontà era comprovata dal fatto che successivamente alla stipula del primo contratto l’attore aveva diffidato Tizio a comparire davanti al notaio “per provvedere alla rogazione dell’atto pubblico di trasferimento…” ma anche “per riceversi il saldo del prezzo di vendita…”. La Corte D’Appello accoglie il ricorso e riforma la sentenza di primo grado. La Corte Territoriale afferma che la scrittura privata del 1976 va qualificata quale preliminare di vendita, ma si dichiara impossibilitata a pronunciare una sentenza costitutiva ai sensi dell’art. 2932 c.c. poiché l’attore principale non ha proposto una domanda specifica in tal senso. Gli eredi di Tizio propongono ricorso per Cassazione per violazione e falsa applicazione degli art. 1362 e seg. nonché dell’art 1531 c.c.. Sintesi della questione. La problematica Il contratto preliminare è un vero e proprio contratto dal quale nasce un obbligo, a carico delle parti, di addivenire alla successiva stipulazione del contratto definitivo. Solo quest’ultimo ha efficacia traslativa del diritto, mentre con il preliminare nasce un obbligo il cui inadempimento giustifica il ricorso all’autorità giudiziaria, per ottenere una sentenza costitutiva ai sensi dell’art. 2932 c.c. che produce gli stessi effetti del contratto non concluso. La vendita è generalmente un contratto ad effetti reali, nel nostro ordinamento esiste però, anche la figura della vendita Copyright © – Riproduzione riservata Pagina 2 di 4 con effetti obbligatori, si pensi ad esempio alla vendita di cosa futura, alla vendita di cosa altrui, alla vendita di cose generiche o alternativa. Nel caso di inosservanza dell’obbligo di trasferimento del bene, si può chiedere al giudice di accertare l’avvenuto trasferimento della proprietà. In sostanza sia che si tratti d’inadempimento di un preliminare, sia che si tratti d’inadempimento di un contratto di compravendita, si può ottenere giudizialmente la proprietà della cosa acquistata; la differenza sta nel fatto che nel primo caso si tratta di una sentenza costitutiva, mentre nel secondo di una mera ricognizione. La Suprema Corte di cassazione è chiamata a rispondere ai seguenti quesiti: – quali sono gli elementi attraverso i quali si può giungere alla qualificazione del contratto? – in particolare il contratto può essere qualificato sulla base della semplice interpretazione letterale dei termini utilizzati? La normativa Codice Civile Art. 1351. Contratto preliminare. — Il contratto preliminare è nullo se non è fatto nella stessa forma che la legge prescrive per il contratto definitivo. Art. 1362. Intenzione dei contraenti. — Nell’interpretare il contratto si deve indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti e non limitarsi al senso letterale delle parole. Per determinare la comune intenzione delle parti, si deve valutare il loro comportamento complessivo anche posteriore alla conclusione del contratto. Art. 2932. Esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto. — Se colui che è obbligato a concludere un contratto non adempie l’obbligazione, l’altra parte, qualora sia possibile e non sia escluso dal titolo, può ottenere una sentenza che produca gli effetti del contratto non concluso. Copyright © – Riproduzione riservata Pagina 3 di 4 Se si tratta di contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa determinata o la costituzione o il trasferimento di un altro diritto, la domanda non può essere accolta, se la parte che l’ha proposta non esegue la sua prestazione o non ne fa offerta nei modi di legge,a meno che la prestazione non sia ancora esigibile. La soluzione accolta dalla Suprema Corte La Corte di Cassazione non accoglie il ricorso per le seguenti ragioni: – la motivazione attraverso la quale la Corte d’Appello è giunta a qualificare il contratto, come preliminare, è logica e ben motivata. – Il giudice ha, infatti, operato la qualificazione del contratto correttamente, applicando le norme contenute agli art. 1362 e seg. c.c. in base alle quali il contratto non può essere qualificato esclusivamente avendo riguardo alle espressioni lessicali utilizzate, ma deve essere operata dal giudice un’indagine ulteriore, che tenga presente la comune intenzione delle parti, che può essere desunta anche dal comportamento che queste hanno tenuto successivamente alla stipulazione del contratto. – pertanto l’utilizzo di espressioni quali “vendita”, “cede”etc., non è sufficiente a qualificare il contratto di compravendita, poiché il senso letterale delle parole non esonera il giudice dall’effettuare un’ indagine ulteriore riguardo alla volontà reale delle parti; – nella fattispecie sottoposta all’esame dei giudici, nonostante il tenore letterale del documento, dall’esame del comportamento delle parti si evince che esse avevano in realtà inteso differire il trasferimento della proprietà al momento della stipula del rogito notarile.

Il sottile limite tra preliminare di vendita e vendita obbligatoria

Riflessioni sulla sentenza della Corte di Cassazione n. 14036/ 2007

 

In tema di interpretazione del contratto la norma principe è l’articolo 1362 c.c. il quale prevede, nell’ambito della gerarchia dei criteri ermeneutici interpretativi, l’adozione del metodo valutativo della “comune intenzione delle parti”. Detto canone deve considerare il comportamento complessivo delle parti, anche posteriore alla conclusione del contratto, senza limitarsi al solo senso letterale delle parole usate nel negozio giuridico oggetto di analisi.

L’evoluzione giurisprudenziale sulla gerarchia dei criteri ermeneutici nel processo interpretativo ha visto inizialmente una propensione verso l’applicazione prevalente del metodo letterale,unitamente a quello logico-sistematico, rispetto al criterio della comune volontà delle parti, il cui utilizzo restava confinato ad un uso sussidiario, solo ove il dato letterale fosse incerto e mediato. Tant’è che in caso di discostamento dal contenuto letterale si riteneva necessario esplicitare le ragioni di detta scelta con riferimento ad un uso ambiguo o atecnico del lessico usato.

Successivamente si è assistito ad un’inversione di tale tendenza, tuttora prevalente, che ha portato all’affermazione della necessità di realizzare il processo interpretativo mediante la considerazione in primis di elementi intrinseci ed estrinseci al contenuto negoziale ed attinenti alla “comune volontà” delle parti, e quindi al loro comportamento complessivo, anche ove il dato letterale fosse stato abbastanza chiaro. Pertanto in conformità al dettato dell’articolo 1362 c.c. si ritiene che il canone ermeneutico da applicare preminentemente sia quello della “comune intenzione delle parti”.

Si precisa che il “comportamento complessivo” va riferito sia alla fase anteriore alla stipulazione, comprensiva anche delle trattative, che a quella conclusiva e successiva, avuto sempre riguardo ad entrambe le parti.

In sede di qualificazione di un contratto concluso, nella scelta interpretativa tra preliminare e definitivo di vendita, la Corte di Cassazione in molti pronunciati ha ribadito che non risultano decisive a tal riguardo né le parole usate, né l’eventuale riserva di nomina o l’autorizzazione alla vendita, né la consegna anticipata del bene o il pagamento del prezzo, né soprattutto il nomen iuris dato allo stesso contratto dalla volontà delle parti. Ciò che rileva è la loro comune e complessiva intenzione.

Le suddette fattispecie contrattuali (preliminare/vendita) divergono nettamente nel contenuto avendo ad oggetto il contratto preliminare un particolare facere, consistente nell’assunzione dell’obbligo a prestare il successivo consenso al trasferimento conformemente alle pattuizioni contenute nello stesso, mentre nel contratto definitivo di vendita, ancorché con effetti obbligatori in cui si realizza un  differimento del momento traslativo, sussiste la volontà attuale di trasferire un diritto su di un bene contestualmente o successivamente alla conclusione del contratto, senza il compimento di ulteriori atti negoziali (dottrina e giurisprudenza prevalenti).

In virtù dell’applicazione del citato criterio ermeneutico la S.C. nella nota e condivisibile sentenza n. 14036 del 15-06-2007 individua nella fattispecie sottoposta al suo sindacato la sussistenza di un contratto preliminare e non di una vendita obbligatoria, al di là del tenore lessicale utilizzato nell’atto, riaffermando a pieno titolo il normato di cui all’articolo 1362 c.c. e la prevalenza nell’attività d’indagine della reale e comune intenzione delle parti, valutando anche a posteriori il loro comportamento senza, appunto, limitarsi al senso e al tenore letterale delle parole usate.

In virtù della diversità sostanziale ed effettuale tra contratto preliminare e contratto definitivo di vendita, e della diversa collocazione dei medesimi nel procedimento formativo della volontà contrattuale, la Suprema Corte con la sentenza de quo, nel rimarcare le suddette differenze, ha statuito che sia in caso di inadempimento dell’obbligo di prestare il consenso alla stipulazione, che in caso di inadempimento dell’obbligo di trasferimento scaturente da una vendita obbligatoria, sarà possibile comunque chiedere al giudice di accertare l’avvenuto trasferimento,  ottenendo giudizialmente la proprietà della cosa.

La S.C. precisa che ai fini dell’ottenimento del suddetto trasferimento e relativo accoglimento della domanda giudiziale di esecuzione in forma specifica di cui all’articolo 2932 c.c.,è necessario altresì che la medesima contenga quale oggetto principale detta specifica richiesta, pena l’impossibilità di pronunciare la relativa sentenza. Ciò deriva dal fatto che l’azione de quo rappresenta una forma di tutela specifica di un interesse, alterato da una determinata situazione giuridica, mediante l’emanazione di un provvedimento giurisdizionale modificativo di uno stato giuridico lesivo e finalizzato alla rimozione dello stesso ed al soddisfacimento dell’interesse sotteso alla domanda. Detto effetto non può realizzarsi mediante un giudicato promosso sulla base di una diversa domanda, che nel caso specifico trattato dalla S.C. inerisce la sola qualificazione giuridica del negozio, ma deve avere ad oggetto la richiesta specifica di esecuzione del contratto ex articolo 2932 c.c.

Pertanto in entrambi i casi sarà esperibile, laddove processualmente possibile, l’azione di esecuzione in forma specifica di cui all’articolo 2932c.c. con l’evidente differenza che nella ipotesi di preliminare la sentenza avrà natura costitutiva, mentre nel caso di vendita obbligatoria avrà natura meramente ricognitiva dell’operatività dei principi generali vigenti in materia nel nostro ordinamento.

Questa sentenza ha l’indubbio merito di aver avvalorato, già da tempo, le condivisibili nuove frontiere di interpretazione dei negozi giuridici, ponendo al centro del metodo ermeneutico la reale volontà ed il comportamento complessivo, anche postumo, delle parti.

Notaio Gennaro Fiordiliso

Dott.ssa Jessica Mauro

 

Civile Sez. II sentenza n. 14036 del 15.06.2007

Il quesito: • L’utilizzo di espressioni quali “vende”, “acquista”, “cede”, sono di per se idonee a qualificare il contratto di compravendita o è necessaria una ulteriore indagine sulla effettiva volontà delle parti? Il caso Con scrittura privata del 1976 Tizio e Caio si accordano sulla vendita di un bene immobile. Il contratto, rubricato “vendita”, prevede che Tizio vende e cede l’immobile con la più ampia garanzia di legge, e che il traferimento della proprietà avverrà nello stato di manutenzione in cui si trova attualmente il bene. A tale atto avrebbe dovuto fare seguito un rogito notarile di compravendita, mai stipulato. Nel 1984 Caio cita in giudizio Tizio per ottenere una sentenza di accertamento dell’avvenuto trasferimento del bene. L’attore sostiene, infatti, che già nel 1976 le parti hanno manifestato la volontà di trasferire l’immobile, stipulando un atto che era una vera e propria compravendita, dalla quale nasceva il successivo abbligo di trasferire il bene. Tale effetto deve ritenersi Copyright © – Riproduzione riservata Pagina 1 di 4 automaticamente realizzato decorso inutilmente il termine della stipula del rogito. Il Tribunale di primo grado accoglie la domanda e dichiara gli eredi di Caio, ormai defunto, proprietari del bene e debitori nei confronti di Tizio del residuo prezzo. Tizio appella la sentenza sostenendo che con la scrittura privata del 1976 le parti non volevano trasferire la proprietà dell’immobile, bensì assumere un obbligo a trasferirlo con il successivo atto notarile. Tale volontà era comprovata dal fatto che successivamente alla stipula del primo contratto l’attore aveva diffidato Tizio a comparire davanti al notaio “per provvedere alla rogazione dell’atto pubblico di trasferimento…” ma anche “per riceversi il saldo del prezzo di vendita…”. La Corte D’Appello accoglie il ricorso e riforma la sentenza di primo grado. La Corte Territoriale afferma che la scrittura privata del 1976 va qualificata quale preliminare di vendita, ma si dichiara impossibilitata a pronunciare una sentenza costitutiva ai sensi dell’art. 2932 c.c. poiché l’attore principale non ha proposto una domanda specifica in tal senso. Gli eredi di Tizio propongono ricorso per Cassazione per violazione e falsa applicazione degli art. 1362 e seg. nonché dell’art 1531 c.c.. Sintesi della questione. La problematica Il contratto preliminare è un vero e proprio contratto dal quale nasce un obbligo, a carico delle parti, di addivenire alla successiva stipulazione del contratto definitivo. Solo quest’ultimo ha efficacia traslativa del diritto, mentre con il preliminare nasce un obbligo il cui inadempimento giustifica il ricorso all’autorità giudiziaria, per ottenere una sentenza costitutiva ai sensi dell’art. 2932 c.c. che produce gli stessi effetti del contratto non concluso. La vendita è generalmente un contratto ad effetti reali, nel nostro ordinamento esiste però, anche la figura della vendita Copyright © – Riproduzione riservata Pagina 2 di 4 con effetti obbligatori, si pensi ad esempio alla vendita di cosa futura, alla vendita di cosa altrui, alla vendita di cose generiche o alternativa. Nel caso di inosservanza dell’obbligo di trasferimento del bene, si può chiedere al giudice di accertare l’avvenuto trasferimento della proprietà. In sostanza sia che si tratti d’inadempimento di un preliminare, sia che si tratti d’inadempimento di un contratto di compravendita, si può ottenere giudizialmente la proprietà della cosa acquistata; la differenza sta nel fatto che nel primo caso si tratta di una sentenza costitutiva, mentre nel secondo di una mera ricognizione. La Suprema Corte di cassazione è chiamata a rispondere ai seguenti quesiti: – quali sono gli elementi attraverso i quali si può giungere alla qualificazione del contratto? – in particolare il contratto può essere qualificato sulla base della semplice interpretazione letterale dei termini utilizzati? La normativa Codice Civile Art. 1351. Contratto preliminare. — Il contratto preliminare è nullo se non è fatto nella stessa forma che la legge prescrive per il contratto definitivo. Art. 1362. Intenzione dei contraenti. — Nell’interpretare il contratto si deve indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti e non limitarsi al senso letterale delle parole. Per determinare la comune intenzione delle parti, si deve valutare il loro comportamento complessivo anche posteriore alla conclusione del contratto. Art. 2932. Esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto. — Se colui che è obbligato a concludere un contratto non adempie l’obbligazione, l’altra parte, qualora sia possibile e non sia escluso dal titolo, può ottenere una sentenza che produca gli effetti del contratto non concluso. Copyright © – Riproduzione riservata Pagina 3 di 4 Se si tratta di contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa determinata o la costituzione o il trasferimento di un altro diritto, la domanda non può essere accolta, se la parte che l’ha proposta non esegue la sua prestazione o non ne fa offerta nei modi di legge,a meno che la prestazione non sia ancora esigibile. La soluzione accolta dalla Suprema Corte La Corte di Cassazione non accoglie il ricorso per le seguenti ragioni: – la motivazione attraverso la quale la Corte d’Appello è giunta a qualificare il contratto, come preliminare, è logica e ben motivata. – Il giudice ha, infatti, operato la qualificazione del contratto correttamente, applicando le norme contenute agli art. 1362 e seg. c.c. in base alle quali il contratto non può essere qualificato esclusivamente avendo riguardo alle espressioni lessicali utilizzate, ma deve essere operata dal giudice un’indagine ulteriore, che tenga presente la comune intenzione delle parti, che può essere desunta anche dal comportamento che queste hanno tenuto successivamente alla stipulazione del contratto. – pertanto l’utilizzo di espressioni quali “vendita”, “cede”etc., non è sufficiente a qualificare il contratto di compravendita, poiché il senso letterale delle parole non esonera il giudice dall’effettuare un’ indagine ulteriore riguardo alla volontà reale delle parti; – nella fattispecie sottoposta all’esame dei giudici, nonostante il tenore letterale del documento, dall’esame del comportamento delle parti si evince che esse avevano in realtà inteso differire il trasferimento della proprietà al momento della stipula del rogito notarile.