NULLITÀ DEGLI ATTI COMPORTANTI UNA SOSTANZIALE MODIFICAZIONE DELL’OGGETTO SOCIALE

NULLITÀ DEGLI ATTI COMPORTANTI UNA SOSTANZIALE MODIFICAZIONE DELL’OGGETTO SOCIALE

*Trib. Milano, 5 novembre 2017

Il Tribunale di Milano, in una ordinanza di revoca di precedente provvedimento, con cui si dispone un sequestro giudiziario, assume una posizione (fino ad oggi mai sostenuta) circa le conseguenze derivanti dalla violazione della regola organizzativa di cui all’art. 2479, co. 2, n. 5, cod. civ..

Nel caso di specie si ritiene che l’affitto di azienda abbia avuto l’effetto di trasformare profondamente l’attività della società “da operativa in finanziaria, cessando dal gestire l’attività economica che ne costituiva di fatto e dalla costituzione l’oggetto sociale preponderante, divenendo sostanzialmente percettrice di un reddito da locazione”.

Si afferma, dunque, che l’operazione è stata compiuta in violazione dell’art. 2479, comma 2, n. 5), c.c., che riserva alla competenza dei soci la decisione di compiere operazioni che comportano una sostanziale modificazione dell’oggetto sociale determinato nell’atto costitutivo o una rilevante modificazione dei diritti dei soci.

Tale disposizione consente di desumere l’esistenza, nel sistema, di un generale divieto di modificare l’attività svolta dalla società al di fuori delle formalità richieste (e cioè, nella S.p.A. attraverso l’adozione di una formale modifica dello statuto, assunta in sede di assemblea straordinaria e con l’attribuzione del diritto di recesso; nella s.r.l. anche attraverso la disposizione di cui all’art. 2479, co. 2, n. 5 cod. civ.; ma sul problema che tale norma pone in relazione alla formulazione dello statuto v. PAOLINI, Le modificazioni di fatto dell’oggetto sociale, Milano, 2014, 299 ss.).

La norma in parola deve essere letta anche alla luce dell’art. 2475-bis, c.c., che comporta una rilevante deroga alla disciplina civilistica della rappresentanza e a quella dell’opponibilità degli atti societari derivante dall’art 2193 c.c.; risponde all’obiettivo, recepito dalla Riforma del diritto societario, di ampliare la tutela dei terzi e, quindi, la sicurezza dei mercati, garantendo l’inopponibilità nei confronti dei terzi delle limitazioni, anche se pubblicate, ai poteri degli amministratori che risultino dall’atto costitutivo o dall’atto di nomina, salva l’exceptio doli. Tale articolo trova fondamento nella Direttiva CEE n 151 del 9 marzo 1968 che agli artt. 7-9 ha regolato la materia, ora codificata nella Direttiva 2009/101/CE artt. 8-10.

L’art. 2475-bis, c.c., sposta, dunque, il rischio delle violazioni commesse dagli amministratori mediante il compimento di atti eccedenti i poteri loro conferiti, sulla società, offrendo in cambio ai terzi la sicurezza che essa faccia comunque fronte agli atti posti in essere in suo nome dagli amministratori, anche se in violazione delle limitazioni ai loro poteri.

Esiste, pertanto, una differenza ontologica tra l’atto di gestione ultra vires, che si esaurisce appunto in un atto determinato tale da eventualmente vincolare la società oltre le previsioni dell’oggetto sociale, e le operazioni che modifichino in modo determinante l’oggetto sociale, che sono di per sé in grado di incidere sulla stessa finalità economica della società e che pertanto richiedono una deliberazione dell’assemblea che ne costituisca il fondamento.

***

La sentenza in esame, tuttavia, suscita perplessità sul piano dell’interpretazione della previsione dell’art. 2479, comma 2, n. 5, c.c., soprattutto quanto all’individuazione delle conseguenze della sua violazione.

Secondo l’opinione prevalente, il disposto del n. 5) del comma 2, dell’art. 2479 c.c., configurerebbe una limitazione legale al potere di rappresentanza degli amministratori: di conseguenza l’atto posto in essere risulterebbe affetto da inefficacia assoluta (CAPO, Il governo dell’impresa e la nuova era della società a responsabilità limitata, in Giur. comm., 2003, I, 511 ss.: SPADA, Classi e tipi di società dopo la riforma organica (guardando alla “nuova” società a responsabilità limitata), in Cian, Le grandi opzioni della riforma del diritto e del processo societario, Padova, 2004, 40; AMBROSINI, sub art. 2475-bis, in Niccolini – Stagno d’Alcontres, Società di capitali. Commentario, Napoli, 2004, 1580 ss.; PICCIAU, Appunti in tema di amministrazione e rappresentanza, in Farina, Ibba, Racugno, Serra, La nuova s.r.l. Prime letture e proposte interpretative, Milano, 2004, 253; RORDORF, Decisioni dei soci di s.r.l.: competenza e modi del decidere, in Società, 2006, 1202; CAGNASSO, La società a responsabilità limitata, in Tratt. Cottino, Padova, 2007, 235 s.; REVIGLIONO, Il recesso nella società a responsabilità limitata, Milano, 2008, 88 ss.; DE MURO, Le decisioni dei soci sugli argomenti sottoposti alla loro approvazione nella s.r.l., Milano, 2008, 114 ss.; Fiorio, I poteri di rappresentanza degli amministratori, in Sarale, Le nuove s.r.l, Bologna, 2008, 577 ss.; ZANARONE, Della società a responsabilità limitata, in Commentario Schelsinger, Milano, 2010, 1003 ss.; CAMPOBASSO, Il potere di rappresentanza degli amministratori di società di capitali nella prospettiva dell’unità concettuale delle forme di rappresentanza negoziale ed organica, in Amministrazione e controllo nel diritto delle società, Liber Amicorum Antonio Piras, Torino, 2010, 464 ss.).

Non manca, tuttavia una tesi, invero minoritaria, che rileva come l’art. 9 della prima direttiva in materia societaria (Prima direttiva 68/151/CEE del Consiglio, del 9 marzo 1968, recepita in Italia dal D.P.R. 29 dicembre 1969, n. 1127 – ora confluita nella direttiva 2009/101/CE – che prevede che “Gli atti compiuti dagli organi sociali obbligano la società nei confronti dei terzi, anche quando tali atti sono estranei all’oggetto sociale, a meno che eccedano i poteri che la legge conferisce o consente di conferire ai predetti organi”), che viene posto fondamento comunitario della tesi sulle limitazioni legali al potere di rappresentanza, debba essere interpretato alla luce della capacità funzionale degli amministratori di società, intesa come il complesso dei poteri idonei a costituire, in senso ampio, l’espressione dell’attività sociale, indicando il possibile spettro di operatività che al rappresentante legale può essere riconosciuto, anche ove, per il legittimo esercizio, sia richiesta una manifestazione di volontà di altro organo, o il ricorrere di particolari condizioni (PAOLINI, Le modificazioni di fatto dell’oggetto sociale, cit., 314 s.; SCIUTO, Problemi in materia di potere rappresentativo degli amministratori di s.r.l., in Riv. soc., 2014, 33; BRIOLINI, Gli strumenti di controllo degli azionisti di minoranza sulla gestione, in Amministrazione e controllo nel diritto delle società, Liber Amicorum Antonio Piras, Torino, 2010, 16 ss., spec. 24 ss.). In tale prospettiva, il mancato rispetto delle procedure o dei requisiti richiesti dalla legge rende senz’altro l’amministratore responsabile, sul piano interno; ma, qualora l’atto possa essere “astrattamente riconducibile alla società, ossia si manifesti come esplicazione della sua attività”, diviene irrilevante, per i terzi in buona fede, la violazione di una competenza interorganica o altro abuso di potere (Cass. 5 dicembre 2011, n. 25946, in Foro it., 2012, I, 1850 ss.). Secondo tale impostazione, quindi, ferma restando la generalità del potere di rappresentanza, la norma in esame riguarderebbe un limite al potere gestorio, che, derivando dalla legge, risulterebbe opponibile ai terzi, con l’importante eccezione del terzo di buona fede (da rapportarsi tanto al caso di assenza quanto a quello di invalidità della delibera che dovrebbe precedere l’agire degli amministratori) (PAOLINI, Le modificazioni di fatto dell’oggetto sociale, cit., 317; pervengono conclusioni simili, BRIOLINI, Gli strumenti di controllo degli azionisti di minoranza sulla gestione, cit,, 24 e ss.; SCIUTO, Problemi in materia di potere rappresentativo degli amministratori di s.r.l., cit., 28 ss., ritenendo, tuttavia, salva l’exceptio doli; nonché CACCAVALE, L’amministrazione, la rappresenta e i controlli, in Caccavale, Magliulo, Maltoni, Tassinari, La riforma della società a responsabilità limitata, Milano, 2006, 520 s., che pur negando la totale inefficacia degli atti compiuti in violazione dell’art. 2479, co. 2, n. 5), c.c., qualifica la necessità della decisione dei soci come limitazione legale sia del potere di amministrazione, sia di quello di rappresentanza ma ritiene, comunque, che le limitazioni legali seguano la stessa sorte di quelle introdotte dall’autonomia dei soci. Il difetto della decisione dei soci, allora, sarebbe opponibile solo nei confronti dei terzi che abbiano agito con dolo, anche in considerazione dell’onere d’indagine che, vertendo anche sull’interpretazione dell’atto costitutivo – ove è indicato l’oggetto sociale – coinvolgerebbe “le medesime istanze di tutela che sono coinvolte con riferimento alle limitazioni statutarie”).

Del tutto inedita risulta, invece, la tesi sostenuta dalla sentenza in esame: essa ritiene, infatti, che nel caso di specie ci si collochi al di fuori della disciplina del potere di rappresentanza di cui all’art. 2475-bis c.c., ma che sia ravvisabile la violazione dell’art. 2479, comma 2, n.5) c.c., regola che “per porsi fra quelle che tuttora strutturano tipicamente la disciplina della società a responsabilità limitata fissando uno dei residui limiti “rigidi” alle competenza rispettive degli organi sociali (i soci riuniti in assemblea da un lato, e i soggetti preposti all’amministrazione degli affari sociali dall’altro), va ritenuta imperativa e quindi inderogabile a prescindere dallo stato soggettivo dei contraenti”.

Di conseguenza viene ravvisata la presenza di un vizio dell’operazione contrattuale, qualificabile, ai sensi del combinato disposto dell’art. 1418 c.c. e dell’art. 2479, comma 2, n. 5 c.c., in termini di nullità virtuale.

Tale soluzione, come si diceva ad oggi del tutto inedita, risulta ancora più problematica alla luce della complessità della fattispecie individuata dal legislatore all’art. 2479, comma 2, n. 5 c.c.

Non appare, infatti, possibile una valutazione astratta in merito alla sussistenza di una modifica sostanziale dell’oggetto sociale, perché tale valutazione si fonda su parametri empirici, in quanto occorre verificare se l’operazione determini in concreto la modifica dell’oggetto, e ciò è rimesso all’apprezzamento dell’organo amministrativo, il quale solo dispone di tutte le informazioni necessarie: nella prospettiva del notaio, tale eventuale effetto difficilmente potrebbe essere apprezzato, in quanto l’estraneità risulta da dati di fatto, non verificabili oggettivamente in sede di controllo di legittimità dell’atto.

Sotto tale profilo, si rileva come, per il terzo, il riconoscimento di una fattispecie sussumibile nell’art. 2479, co. 2, n. 5), c.c. – che consiste pure sempre nel compimento di atti gestori – è operazione ancora più complessa della valutazione dell’estraneità dell’atto all’oggetto sociale (non suscettibile di contestazioni, salva l’exceptio doli), in quanto la possibilità di verificare l’effetto spiegato dal singolo atto sulla complessa attività sociale non può prescindere dalla conoscenza, e dall’esame, di ogni aspetto di questa, a dal confronto con l’assetto antecedente all’atto (PAOLINI, Le modificazioni di fatto dell’oggetto sociale, cit., 315, con richiami critici a Trib. Roma, 28 aprile 2011, in Vita not., 2011, 1016 ss., in cui per ricondurre un atto di cessione dell’intera azienda nella categoria degli atti comportanti una sostanziale modificazione dell’oggetto sociale, si è data rilevanza anche al comportamento tenuto dalla società cedente in epoca successiva all’atto, osservando che non era stato posto in essere il riacquisto di altra azienda, e quindi considerando l’operazione nel suo complesso, e non il singolo atto. Significativamente, nella sentenza in esame, viene speso il medesimo argomento).

Le tesi che ritengono che la violazione dell’art. 2479, comma 2, n.5) c.c., comporti l’inefficacia (o, come nel caso di specie, addirittura la nullità) degli atti compiuti, in definitiva impongono al terzo che viene in contatto con la società oneri rilevanti, richiedendosi non solo l’esame del singolo atto, determinandone il significato in relazione all’attività complessivamente svolta (valutazione che resta comunque sempre fortemente opinabile), ma anche di assicurarsi del comportamento posto in essere successivamente, nonché (in caso di riscontro positivo alle precedenti verifiche) della presenza di una valida deliberazione assembleare. Il tutto, che risulterebbe decisivo ai fini dell’acquisto di efficacia o meno del contratto posto in essere, pregiudicherebbe gravemente l’affidabilità delle s.r.l. sul mercato, in totale dissonanza con il principio comunitario per cui “la tutela dei terzi deve essere assicurata mediante disposizioni che limitino, per quanto possibile, le cause di invalidità delle obbligazioni assunte in nome della società”.

NULLITÀ DEGLI ATTI COMPORTANTI UNA SOSTANZIALE MODIFICAZIONE DELL’OGGETTO SOCIALE

*Trib. Milano, 5 novembre 2017

Il Tribunale di Milano, in una ordinanza di revoca di precedente provvedimento, con cui si dispone un sequestro giudiziario, assume una posizione (fino ad oggi mai sostenuta) circa le conseguenze derivanti dalla violazione della regola organizzativa di cui all’art. 2479, co. 2, n. 5, cod. civ..

Nel caso di specie si ritiene che l’affitto di azienda abbia avuto l’effetto di trasformare profondamente l’attività della società “da operativa in finanziaria, cessando dal gestire l’attività economica che ne costituiva di fatto e dalla costituzione l’oggetto sociale preponderante, divenendo sostanzialmente percettrice di un reddito da locazione”.

Si afferma, dunque, che l’operazione è stata compiuta in violazione dell’art. 2479, comma 2, n. 5), c.c., che riserva alla competenza dei soci la decisione di compiere operazioni che comportano una sostanziale modificazione dell’oggetto sociale determinato nell’atto costitutivo o una rilevante modificazione dei diritti dei soci.

Tale disposizione consente di desumere l’esistenza, nel sistema, di un generale divieto di modificare l’attività svolta dalla società al di fuori delle formalità richieste (e cioè, nella S.p.A. attraverso l’adozione di una formale modifica dello statuto, assunta in sede di assemblea straordinaria e con l’attribuzione del diritto di recesso; nella s.r.l. anche attraverso la disposizione di cui all’art. 2479, co. 2, n. 5 cod. civ.; ma sul problema che tale norma pone in relazione alla formulazione dello statuto v. PAOLINI, Le modificazioni di fatto dell’oggetto sociale, Milano, 2014, 299 ss.).

La norma in parola deve essere letta anche alla luce dell’art. 2475-bis, c.c., che comporta una rilevante deroga alla disciplina civilistica della rappresentanza e a quella dell’opponibilità degli atti societari derivante dall’art 2193 c.c.; risponde all’obiettivo, recepito dalla Riforma del diritto societario, di ampliare la tutela dei terzi e, quindi, la sicurezza dei mercati, garantendo l’inopponibilità nei confronti dei terzi delle limitazioni, anche se pubblicate, ai poteri degli amministratori che risultino dall’atto costitutivo o dall’atto di nomina, salva l’exceptio doli. Tale articolo trova fondamento nella Direttiva CEE n 151 del 9 marzo 1968 che agli artt. 7-9 ha regolato la materia, ora codificata nella Direttiva 2009/101/CE artt. 8-10.

L’art. 2475-bis, c.c., sposta, dunque, il rischio delle violazioni commesse dagli amministratori mediante il compimento di atti eccedenti i poteri loro conferiti, sulla società, offrendo in cambio ai terzi la sicurezza che essa faccia comunque fronte agli atti posti in essere in suo nome dagli amministratori, anche se in violazione delle limitazioni ai loro poteri.

Esiste, pertanto, una differenza ontologica tra l’atto di gestione ultra vires, che si esaurisce appunto in un atto determinato tale da eventualmente vincolare la società oltre le previsioni dell’oggetto sociale, e le operazioni che modifichino in modo determinante l’oggetto sociale, che sono di per sé in grado di incidere sulla stessa finalità economica della società e che pertanto richiedono una deliberazione dell’assemblea che ne costituisca il fondamento.

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La sentenza in esame, tuttavia, suscita perplessità sul piano dell’interpretazione della previsione dell’art. 2479, comma 2, n. 5, c.c., soprattutto quanto all’individuazione delle conseguenze della sua violazione.

Secondo l’opinione prevalente, il disposto del n. 5) del comma 2, dell’art. 2479 c.c., configurerebbe una limitazione legale al potere di rappresentanza degli amministratori: di conseguenza l’atto posto in essere risulterebbe affetto da inefficacia assoluta (CAPO, Il governo dell’impresa e la nuova era della società a responsabilità limitata, in Giur. comm., 2003, I, 511 ss.: SPADA, Classi e tipi di società dopo la riforma organica (guardando alla “nuova” società a responsabilità limitata), in Cian, Le grandi opzioni della riforma del diritto e del processo societario, Padova, 2004, 40; AMBROSINI, sub art. 2475-bis, in Niccolini – Stagno d’Alcontres, Società di capitali. Commentario, Napoli, 2004, 1580 ss.; PICCIAU, Appunti in tema di amministrazione e rappresentanza, in Farina, Ibba, Racugno, Serra, La nuova s.r.l. Prime letture e proposte interpretative, Milano, 2004, 253; RORDORF, Decisioni dei soci di s.r.l.: competenza e modi del decidere, in Società, 2006, 1202; CAGNASSO, La società a responsabilità limitata, in Tratt. Cottino, Padova, 2007, 235 s.; REVIGLIONO, Il recesso nella società a responsabilità limitata, Milano, 2008, 88 ss.; DE MURO, Le decisioni dei soci sugli argomenti sottoposti alla loro approvazione nella s.r.l., Milano, 2008, 114 ss.; Fiorio, I poteri di rappresentanza degli amministratori, in Sarale, Le nuove s.r.l, Bologna, 2008, 577 ss.; ZANARONE, Della società a responsabilità limitata, in Commentario Schelsinger, Milano, 2010, 1003 ss.; CAMPOBASSO, Il potere di rappresentanza degli amministratori di società di capitali nella prospettiva dell’unità concettuale delle forme di rappresentanza negoziale ed organica, in Amministrazione e controllo nel diritto delle società, Liber Amicorum Antonio Piras, Torino, 2010, 464 ss.).

Non manca, tuttavia una tesi, invero minoritaria, che rileva come l’art. 9 della prima direttiva in materia societaria (Prima direttiva 68/151/CEE del Consiglio, del 9 marzo 1968, recepita in Italia dal D.P.R. 29 dicembre 1969, n. 1127 – ora confluita nella direttiva 2009/101/CE – che prevede che “Gli atti compiuti dagli organi sociali obbligano la società nei confronti dei terzi, anche quando tali atti sono estranei all’oggetto sociale, a meno che eccedano i poteri che la legge conferisce o consente di conferire ai predetti organi”), che viene posto fondamento comunitario della tesi sulle limitazioni legali al potere di rappresentanza, debba essere interpretato alla luce della capacità funzionale degli amministratori di società, intesa come il complesso dei poteri idonei a costituire, in senso ampio, l’espressione dell’attività sociale, indicando il possibile spettro di operatività che al rappresentante legale può essere riconosciuto, anche ove, per il legittimo esercizio, sia richiesta una manifestazione di volontà di altro organo, o il ricorrere di particolari condizioni (PAOLINI, Le modificazioni di fatto dell’oggetto sociale, cit., 314 s.; SCIUTO, Problemi in materia di potere rappresentativo degli amministratori di s.r.l., in Riv. soc., 2014, 33; BRIOLINI, Gli strumenti di controllo degli azionisti di minoranza sulla gestione, in Amministrazione e controllo nel diritto delle società, Liber Amicorum Antonio Piras, Torino, 2010, 16 ss., spec. 24 ss.). In tale prospettiva, il mancato rispetto delle procedure o dei requisiti richiesti dalla legge rende senz’altro l’amministratore responsabile, sul piano interno; ma, qualora l’atto possa essere “astrattamente riconducibile alla società, ossia si manifesti come esplicazione della sua attività”, diviene irrilevante, per i terzi in buona fede, la violazione di una competenza interorganica o altro abuso di potere (Cass. 5 dicembre 2011, n. 25946, in Foro it., 2012, I, 1850 ss.). Secondo tale impostazione, quindi, ferma restando la generalità del potere di rappresentanza, la norma in esame riguarderebbe un limite al potere gestorio, che, derivando dalla legge, risulterebbe opponibile ai terzi, con l’importante eccezione del terzo di buona fede (da rapportarsi tanto al caso di assenza quanto a quello di invalidità della delibera che dovrebbe precedere l’agire degli amministratori) (PAOLINI, Le modificazioni di fatto dell’oggetto sociale, cit., 317; pervengono conclusioni simili, BRIOLINI, Gli strumenti di controllo degli azionisti di minoranza sulla gestione, cit,, 24 e ss.; SCIUTO, Problemi in materia di potere rappresentativo degli amministratori di s.r.l., cit., 28 ss., ritenendo, tuttavia, salva l’exceptio doli; nonché CACCAVALE, L’amministrazione, la rappresenta e i controlli, in Caccavale, Magliulo, Maltoni, Tassinari, La riforma della società a responsabilità limitata, Milano, 2006, 520 s., che pur negando la totale inefficacia degli atti compiuti in violazione dell’art. 2479, co. 2, n. 5), c.c., qualifica la necessità della decisione dei soci come limitazione legale sia del potere di amministrazione, sia di quello di rappresentanza ma ritiene, comunque, che le limitazioni legali seguano la stessa sorte di quelle introdotte dall’autonomia dei soci. Il difetto della decisione dei soci, allora, sarebbe opponibile solo nei confronti dei terzi che abbiano agito con dolo, anche in considerazione dell’onere d’indagine che, vertendo anche sull’interpretazione dell’atto costitutivo – ove è indicato l’oggetto sociale – coinvolgerebbe “le medesime istanze di tutela che sono coinvolte con riferimento alle limitazioni statutarie”).

Del tutto inedita risulta, invece, la tesi sostenuta dalla sentenza in esame: essa ritiene, infatti, che nel caso di specie ci si collochi al di fuori della disciplina del potere di rappresentanza di cui all’art. 2475-bis c.c., ma che sia ravvisabile la violazione dell’art. 2479, comma 2, n.5) c.c., regola che “per porsi fra quelle che tuttora strutturano tipicamente la disciplina della società a responsabilità limitata fissando uno dei residui limiti “rigidi” alle competenza rispettive degli organi sociali (i soci riuniti in assemblea da un lato, e i soggetti preposti all’amministrazione degli affari sociali dall’altro), va ritenuta imperativa e quindi inderogabile a prescindere dallo stato soggettivo dei contraenti”.

Di conseguenza viene ravvisata la presenza di un vizio dell’operazione contrattuale, qualificabile, ai sensi del combinato disposto dell’art. 1418 c.c. e dell’art. 2479, comma 2, n. 5 c.c., in termini di nullità virtuale.

Tale soluzione, come si diceva ad oggi del tutto inedita, risulta ancora più problematica alla luce della complessità della fattispecie individuata dal legislatore all’art. 2479, comma 2, n. 5 c.c.

Non appare, infatti, possibile una valutazione astratta in merito alla sussistenza di una modifica sostanziale dell’oggetto sociale, perché tale valutazione si fonda su parametri empirici, in quanto occorre verificare se l’operazione determini in concreto la modifica dell’oggetto, e ciò è rimesso all’apprezzamento dell’organo amministrativo, il quale solo dispone di tutte le informazioni necessarie: nella prospettiva del notaio, tale eventuale effetto difficilmente potrebbe essere apprezzato, in quanto l’estraneità risulta da dati di fatto, non verificabili oggettivamente in sede di controllo di legittimità dell’atto.

Sotto tale profilo, si rileva come, per il terzo, il riconoscimento di una fattispecie sussumibile nell’art. 2479, co. 2, n. 5), c.c. – che consiste pure sempre nel compimento di atti gestori – è operazione ancora più complessa della valutazione dell’estraneità dell’atto all’oggetto sociale (non suscettibile di contestazioni, salva l’exceptio doli), in quanto la possibilità di verificare l’effetto spiegato dal singolo atto sulla complessa attività sociale non può prescindere dalla conoscenza, e dall’esame, di ogni aspetto di questa, a dal confronto con l’assetto antecedente all’atto (PAOLINI, Le modificazioni di fatto dell’oggetto sociale, cit., 315, con richiami critici a Trib. Roma, 28 aprile 2011, in Vita not., 2011, 1016 ss., in cui per ricondurre un atto di cessione dell’intera azienda nella categoria degli atti comportanti una sostanziale modificazione dell’oggetto sociale, si è data rilevanza anche al comportamento tenuto dalla società cedente in epoca successiva all’atto, osservando che non era stato posto in essere il riacquisto di altra azienda, e quindi considerando l’operazione nel suo complesso, e non il singolo atto. Significativamente, nella sentenza in esame, viene speso il medesimo argomento).

Le tesi che ritengono che la violazione dell’art. 2479, comma 2, n.5) c.c., comporti l’inefficacia (o, come nel caso di specie, addirittura la nullità) degli atti compiuti, in definitiva impongono al terzo che viene in contatto con la società oneri rilevanti, richiedendosi non solo l’esame del singolo atto, determinandone il significato in relazione all’attività complessivamente svolta (valutazione che resta comunque sempre fortemente opinabile), ma anche di assicurarsi del comportamento posto in essere successivamente, nonché (in caso di riscontro positivo alle precedenti verifiche) della presenza di una valida deliberazione assembleare. Il tutto, che risulterebbe decisivo ai fini dell’acquisto di efficacia o meno del contratto posto in essere, pregiudicherebbe gravemente l’affidabilità delle s.r.l. sul mercato, in totale dissonanza con il principio comunitario per cui “la tutela dei terzi deve essere assicurata mediante disposizioni che limitino, per quanto possibile, le cause di invalidità delle obbligazioni assunte in nome della società”.