S.S. U.U.: ESCLUSIONE DAL VOTO NEL CONCORDATO FALLIMENTARE- RATIO E CONFINI

Esclusione dal voto nel concordato fallimentare della società proponente e di quelle ad essa correlate (Cass. SS.UU. 28 giugno 2018, n. 17186)
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con sentenza 28 giugno 2018, n. 17186, affermano la rilevanza del conflitto di interessi delle società proponenti ai fini dell’esclusione dalla loro legittimazione al voto della proposta di concordato fallimentare. E tale esclusione, secondo le SS.UU., si estende anche alle società correlate, che controllano la società proponente o sono da essa controllate o sono sottoposte a comune controllo.

Nel caso di specie, due società avevano presentato una proposta di concordato a chiusura del fallimento di un’altra società, proposta che era stata accettata con il voto favorevole anche delle società proponenti. Il Tribunale, su ricorso di due creditori, aveva negato l’omologazione, in quanto le due proponenti erano in conflitto di interesse e, quindi, dovevano esser escluse dal voto, che era stato invece determinante. La Corte d’appello, al contrario, aveva accolto il reclamo, negando che nella procedura di concordato fallimentare sia configurabile un conflitto di interessi, come dimostrerebbe il fatto che mancando una norma che lo sanzioni espressamente, è lo stesso proponente ad esser ammesso al voto.

Per le Sezioni Unite – benché manchi nella legge fallimentare una norma analoga all’art. 2373, c.c., che, in materia di assemblea delle società, disciplina il conflitto d’interesse – ritiene che il conflitto dei creditori nel voto sul concordato è comunque considerato rilevante, come dimostrano le esclusioni dal voto di taluni congiunti del fallito e degli acquirenti di loro crediti da meno di un anno prima della dichiarazione del fallimento, nonché delle società controllanti o controllate o sottoposte a comune controllo rispetto ad essi, previste dall’art. 127, commi 5 e 6, l. fall, per il concordato fallimentare, e dall’art. 177, comma 4, l. fall., per il concordato preventivo. Norme che non trovano spiegazione se non con la finalità di neutralizzare, appunto, un conflitto tra l’interesse proprio di singoli creditori di cui si tratta (in quanto collegato all’interesse del fallito) e l’interesse comune a tutti i creditori.

E, nel caso del proponente – portatore di un interesse individuale in contrasto con l’interesse comune dei creditori – il conflitto di interessi è immanente, in quanto l’uno tende a concludere l’accordo con il minor impegno possibile, gli altri ad ottenere maggior soddisfacimento possibile dei loro crediti.

Ne consegue, pertanto, che i creditori proponenti di regola non hanno diritto di voto sulla loro stessa proposta; dando rilievo, tuttavia, anche al loro ruolo di creditori, come tali interessati alla soddisfazione dei propri crediti, si ammette la loro partecipazione al voto, ma solo a condizione che sia neutralizzato il conflitto d’interesse, in cui versano, mediante la tecnica del classamento. Diversamente, lo stesso va sterilizzato, mediante il divieto di partecipazione al voto, divieto che non ha necessità di un’espressa previsione normativa non potendo uno stesso soggetto cumulare in sé i ruoli di entrambe le parti contrattuali, venendo meno altrimenti la necessaria alterità tra proponente e votante.

La conclusione, peraltro, vale anche per le società correlate al creditore proponente, mediante un’interpretazione estensiva del comma 6 dell’art. 127, l. fall., società che devono dunque esser soggette alla stessa regola di esclusione dal voto, dato che loro volontà è efficacemente condizionata o condizionabile dai soggetti che direttamente versano in situazione di conflitto di interessi.

Antonio Ruotolo e Daniela Boggiali

Esclusione dal voto nel concordato fallimentare della società proponente e di quelle ad essa correlate (Cass. SS.UU. 28 giugno 2018, n. 17186)
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con sentenza 28 giugno 2018, n. 17186, affermano la rilevanza del conflitto di interessi delle società proponenti ai fini dell’esclusione dalla loro legittimazione al voto della proposta di concordato fallimentare. E tale esclusione, secondo le SS.UU., si estende anche alle società correlate, che controllano la società proponente o sono da essa controllate o sono sottoposte a comune controllo.

Nel caso di specie, due società avevano presentato una proposta di concordato a chiusura del fallimento di un’altra società, proposta che era stata accettata con il voto favorevole anche delle società proponenti. Il Tribunale, su ricorso di due creditori, aveva negato l’omologazione, in quanto le due proponenti erano in conflitto di interesse e, quindi, dovevano esser escluse dal voto, che era stato invece determinante. La Corte d’appello, al contrario, aveva accolto il reclamo, negando che nella procedura di concordato fallimentare sia configurabile un conflitto di interessi, come dimostrerebbe il fatto che mancando una norma che lo sanzioni espressamente, è lo stesso proponente ad esser ammesso al voto.

Per le Sezioni Unite – benché manchi nella legge fallimentare una norma analoga all’art. 2373, c.c., che, in materia di assemblea delle società, disciplina il conflitto d’interesse – ritiene che il conflitto dei creditori nel voto sul concordato è comunque considerato rilevante, come dimostrano le esclusioni dal voto di taluni congiunti del fallito e degli acquirenti di loro crediti da meno di un anno prima della dichiarazione del fallimento, nonché delle società controllanti o controllate o sottoposte a comune controllo rispetto ad essi, previste dall’art. 127, commi 5 e 6, l. fall, per il concordato fallimentare, e dall’art. 177, comma 4, l. fall., per il concordato preventivo. Norme che non trovano spiegazione se non con la finalità di neutralizzare, appunto, un conflitto tra l’interesse proprio di singoli creditori di cui si tratta (in quanto collegato all’interesse del fallito) e l’interesse comune a tutti i creditori.

E, nel caso del proponente – portatore di un interesse individuale in contrasto con l’interesse comune dei creditori – il conflitto di interessi è immanente, in quanto l’uno tende a concludere l’accordo con il minor impegno possibile, gli altri ad ottenere maggior soddisfacimento possibile dei loro crediti.

Ne consegue, pertanto, che i creditori proponenti di regola non hanno diritto di voto sulla loro stessa proposta; dando rilievo, tuttavia, anche al loro ruolo di creditori, come tali interessati alla soddisfazione dei propri crediti, si ammette la loro partecipazione al voto, ma solo a condizione che sia neutralizzato il conflitto d’interesse, in cui versano, mediante la tecnica del classamento. Diversamente, lo stesso va sterilizzato, mediante il divieto di partecipazione al voto, divieto che non ha necessità di un’espressa previsione normativa non potendo uno stesso soggetto cumulare in sé i ruoli di entrambe le parti contrattuali, venendo meno altrimenti la necessaria alterità tra proponente e votante.

La conclusione, peraltro, vale anche per le società correlate al creditore proponente, mediante un’interpretazione estensiva del comma 6 dell’art. 127, l. fall., società che devono dunque esser soggette alla stessa regola di esclusione dal voto, dato che loro volontà è efficacemente condizionata o condizionabile dai soggetti che direttamente versano in situazione di conflitto di interessi.

Antonio Ruotolo e Daniela Boggiali