*Cassazione, 7 aprile 2015, n. 6904
Introduzione.
La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza del 7 aprile 2015, n. 6904 , è stata incaricata di stabilire se fra i soggetti aventi diritto alla prelazione agraria di cui all’art. 7 della Legge, 14 agosto 1971, n. 817 , e, quindi, legittimati all’esercizio del corrispondente diritto di riscatto, rientri pure – nella ricorrenza di tutti gli altri presupposti di legge – il coltivatore diretto che sia soltanto nudo proprietario (e non già quindi pieno proprietario) del fondo confinante con quello posto in vendita .
La pronuncia della Corte territoriale d’Appello.
Su tale questione la Corte di Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi dopo che la Corte territoriale d’Appello – richiamata la motivazione del Tribunale di merito, e facendola propria – si era espressa positivamente riguardo ad essa , ritenendo che «per il legislatore non vi è differenza tra la nuda e la piena proprietà» con riferimento alle condizioni richieste dalla legge per l’esercizio del diritto di prelazione agraria, e del diritto di riscatto.
Più nel dettaglio, la Corte territoriale d’Appello, confermando la sentenza di primo grado, ha respinto il ricorso degli appellanti, sull’assunto che:
1) la parte appellata, unitamente alla sua famiglia, era in possesso delle condizioni di legge per essere ammessa all’esercizio del retratto agrario;
2) non era stata dimostrata l’esistenza, sul terreno venduto , di un contratto di affitto agrario in favore degli appellanti ;
3) non aveva alcun rilievo il fatto che la parte appellata fosse soltanto nuda (e non già) piena proprietaria del terreno confinante gravato dal diritto di usufrutto in favore del fratello, poiché «per il legislatore non vi è differenza tra la nuda e la piena proprietà».
La sentenza della Corte di Cassazione.
Di tutt’altro tenore è la decisione della Corte di Cassazione in commento.
La Corte di Cassazione, infatti, nell’elevare la causa a decisione, ha innanzitutto chiarito che «la titolarità del diritto di prelazione e di riscatto vada intesa in termini rigorosi, in quanto comporta una limitazione del diritto di proprietà del terzo, sicché non può essere riconosciuta al di fuori dei casi previsti dalla legge». In linea con il suo precedente indirizzo , la medesima Corte ha cioè sostenuto che «le norme sul diritto di prelazione e di riscatto sono norme di stretta interpretazione, che prevedono un numero chiuso di ipotesi e non consentono estensioni al di fuori di quelle tassativamente previste», perché, sempre secondo la Corte in commento «il diritto di prelazione e di riscatto apportano, in concreto una significativa limitazione del diritto di proprietà garantito dall’art. 42 della Costituzione », posto che «una delle prerogative fondamentali del proprietario è quella di alienare il proprio diritto ad un soggetto liberamente scelto; facoltà che è grandemente diminuita dalle norme sul diritto di prelazione».
Muovendo da tale premessa, la Corte in esame ha poi inteso «compiere un ulteriore passo in relazione alla fattispecie della prelazione del confinante riconosciuta dall’art. 7, comma secondo, n. 2, della Legge, 14 agosto 1971, n. 817 . La norma in esame prevede, al secondo comma, n. 2), che il diritto di prelazione (e quindi di riscatto) spetta anche “al coltivatore diretto proprietario di terreni confinanti con fondi offerti in vendita, purché sugli stessi non siano insediati mezzadri, coloni, affittuari, compartecipanti od enfiteuti coltivatori diretti”. La legge riconosce il diritto quindi al proprietario coltivatore diretto di terreni confinanti; ora, se questa è la condizione indicata dalla legge, è evidente che lo stesso diritto non può essere riconosciuto al nudo proprietario, perché una simile estensione sarebbe evidentemente arbitraria. Il nudo proprietario, dall’altra parte, non ha i poteri di godimento del bene, che spettano all’usufruttuario (art. 981 cod. civ.), e non è neppure detto che diventi mai pieno proprietario perché la fattispecie di cui all’art. 1014 n. 2, cod. civ.,- secondo cui l’usufrutto si estingue “per la riunione dell’usufrutto e della proprietà nella stessa persone” – ben potrebbe non realizzarsi. Ne consegue che, oltre alla palese violazione del dettato legislativo, ammettere il nudo proprietario all’esercizio del diritto di prelazione verrebbe e creare evidenti incongruenze ed incertezze che la legge non può tollerare».
Con tale motivazione, la Corte ha così accolto il primo motivo di ricorso, enunciando il principio di diritto secondo il quale «poiché il diritto di prelazione e di riscatto agrari costituiscono ipotesi tassative, regolate dalla legge e non suscettibili di interpretazione estensiva, il diritto di prelazione e di riscatto del confinante, previsti dall’art. 7, secondo comma, n. 2), della legge n. 817 del 1971, non spettano al nudo proprietario».
Conclusioni.
La sentenza in commento merita di essere segnalata perché – a giudizio della stessa Corte – «tratta (…) una questione sulla quale non vi sono precedenti specifici » e, seppur succintamente motivata, raggiunge una netta conclusione.
Peraltro, appare opportuno evidenziare che l’Ufficio Studi aveva già affrontato e risolto la questione in termini sostanzialmente analoghi a quelli espressi dalla Cassazione .
Il percorso argomentativo utilizzato muoveva dal dettato normativo che nell’imporre al proprietario del fondo contiguo di essere al contempo coltivatore diretto, ha portato ad osservare che “il diritto di nuda proprietà appare refrattario ad essere qualificato come fattispecie che dà luogo all’esercizio della coltivazione diretta da parte del nudo proprietario, perché presumibilmente la coltivazione diretta appartiene più all’usufruttuario che al nudo proprietario. Non vi è alcun dubbio infatti che la coltivazione del fondo agricolo presuppone il possesso del fondo stesso e che possessore nell’ipotesi di usufrutto è l’usufruttuario, come dispone l’art. 982 c.c. per il quale l’usufruttuario ha diritto di conseguire il possesso della cosa di cui ha l’usufrutto. Sintomatica a questo riguardo è Cass. 3 febbraio 1992, n. 1136, in Rivista giuridica dell’edilizia, 1992, I, 896, la quale ha disposto che “allorché il titolare del diritto di nuda proprietà di un bene trasferisca tale diritto a terzi (a titolo gratuito od oneroso), lo stesso non ha l’obbligo di consegnare la cosa all’acquirente, perché appartenendo la disponibilità materiale della stessa all’usufruttuario, egli non è giuridicamente e sostanzialmente in grado di effettuare detta consegna”. Né in senso contrario potrebbe affermarsi che basta che il soggetto nudo proprietario di fatto effettui la coltivazione del suo terreno per rendere operativo il possesso della qualifica di coltivatore diretto; perché per la giurisprudenza occorre che la coltivazione sia fondata su un titolo giuridico effettivo e non su un semplice contratto di comodato oppure su un insediamento di fatto sul fondo agricolo (così Cass. 2 aprile 1980, n. 2135).”
Per questi motivi si ritenne che il nudo proprietario non fosse qualificato per l’esercizio della prelazione del confinante.