RIDUZIONE DEL CAPITALE E DELIBERA DI APPROVAZIONE DEL BILANCIO
Invalidità della delibera di approvazione del bilancio e riduzione del capitale (Tribunale di Firenze, 20 giugno 2018)
Il Tribunale di Firenze, Sezione specializzata in materia di imprese, con sentenza 20 giugno 2018, chiarisce come l’invalidità della delibera di approvazione di bilancio non si rifletta sulla validità delle successive delibere di riduzione del capitale o di messa in stato di liquidazione.
Il presupposto dell’azzeramento del capitale a copertura delle perdite e dello scioglimento della società, infatti, non è l’avvenuta approvazione del bilancio ma la sussistenza di perdite pari o superiori al capitale stesso; parallelamente, il presupposto della continuità imprenditoriale non è la chiarezza del bilancio, ma la sussistenza dei requisiti patrimoniali che la consentono.
Si nega, inoltre, che – come invece sostenuto dall’attore – le decisioni sulla approvazione del bilancio e sull’azzeramento del capitale e lo scioglimento della società siano di per sé inscindibili, come dimostrano il fatto che l’una è devoluta all’assemblea ordinaria, l’altra all’assemblea straordinaria e la circostanza che possano essere assunte in tempi diversi.
Si esclude, inoltre, che possa trovare applicazione analogica il disposto dell’art. 1419, c.c. (la nullità parziale di un contratto o la nullità di singole clausole importa la nullità dell’intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità), che può riguardare un unico atto complesso, ma non atti distinti, come le delibere in questione, per i quali può semmai parlarsi di nullità derivata.
Ma la nullità derivata può ricorrere solo se e nella misura in cui la delibera (invalida) precedente pregiudichi necessariamente il contenuto di quelle successive.
Poiché un bilancio non è atto costitutivo di perdite o patrimoni, bensì atto ricognitivo, sul piano contabile, della realtà economica della società, ne segue che la decisione di azzerare il capitale a copertura delle perdite è resa necessaria non dalla approvazione del bilancio, ma dalla erosione del capitale per la presenza di perdite ad esso pari o superiori. Ugualmente, la decisione di sciogliere la società trova la sua ragione nella perdita del capitale, sia essa o non sia stata correttamente esposta nell’ultimo bilancio approvato, in assenza di una volontà di ricapitalizzare la società.
Nel caso all’attenzione del Tribunale, il capitale sociale era andato completamente perduto, sicché la riscontrata invalidità del bilancio, per difetto di chiarezza, e della delibera che lo ha approvato, non ha alcuna incidenza sui presupposti che legittimano le delibere conseguenti, ancorché contestualmente assunte dalla stessa assemblea.
Invero, la questione delle conseguenze dell’invalidità della deliberazione presupposta su quella conseguente non è così pacifica.
La stessa giurisprudenza di merito ha assunto, sul punto, atteggiamenti divergenti.
Si è, ad esempio, affermato come, in applicazione dei principi generali in tema di collegamento negoziale, l’invalidità della deliberazione di approvazione del bilancio determini l’invalidità della conseguente deliberazione di aumento e riduzione del capitale adottata ai sensi dell’art. 2482-ter c.c., allorquando la prima deliberazione esponga perdite di esercizio superiori a quelle reali (così Trib. Catania, 23 giugno 2011, in Riv. Dir. soc., 2011, 911 ss., con commento di Giunta, Il collegamento tra delibera di approvazione del bilancio e delibera di riduzione del capitale al di sotto del minimo legale ai sensi dell’art. 2482-ter c.c.), rinvenendosi il fondamento dell’estensione degli effetti dell’invalidità della prima delibera sulla seconda nel rapporto di “pregiudizialità-dipendenza” che le lega. Una posizione che risulta manifestata anche in più risalenti pronunce di legittimità (Cass., 23 marzo 2004, n. 5740, in Riv. not., 2004, 1254).
In sostanza, secondo tale orientamento, si ha un’estensione degli effetti dell’illegittimità di una delibera su quelle contestualmente o conseguentemente approvate a prescindere dalla autonoma impugnazione della delibera assembleare collegata. In particolare, in numerose pronunce si afferma come l’illegittimità della deliberazione di riduzione del capitale della società, perché adottato in assenza di perdite che la giustifichino, riverberi i suoi effetti anche sulla conseguente deliberazioni di ricostituzione del capitale asseritamente perduto (oltre alle due pronunce da ultimo citate, Cass. 18 agosto 1993, n. 8760, in Dir. fall., 1994, II, 448; App. Milano, 31 gennaio 2003, in Giur. comm., 2003, II, 612; Trib. Ancona, 18 gennaio 2002, in Giur. it., 2003, II, 2349 ss.; Trib. Roma, 5 dicembre 2000).
Diversamente orientata appare la dottrina, la quale nega in prevalenza l’assimilabilità, per questi profili, della delibera assembleare al negozio giuridico e, di conseguenza, l’applicazione dei principi in tema di collegamento negoziale (Meo, Gli effetti dell’invalidità delle deliberazioni assembleari, Milano, 1998, 19 ss.; Pisani Massamormile, Invalidità delle delibere assembleari. Stabilità ed effetti, in Riv. dir. comm., 2004, I, 55 ss.; Ginevra, Nullità post conversione di delibera di emissione di obbligazioni bancarie convertibili?, in Giur. comm., 2003, II, 268 ss.).
Si afferma, così, che la deliberazione assembleare non è, sempre e comunque, un fondamento causale, un vincolo di contenuto e, dunque, un presupposto di validità ed efficacia di tutti gli atti deliberativi (e non solo) conseguenti (Meo, Gli effetti dell’invalidità delle deliberazioni assembleari, cit., 206): anzi, soprattutto con la riforma del diritto societario, l’affermazione del principio della stabilità delle situazioni organizzative e sostanziali introdotte dagli atti societari fa propendere per l’esclusione di un automatico effetto condizionante del vizio della delibera precedente.
Una conferma in tal senso si dovrebbe trarre anche dal disposto dell’art. 2377, comma 7, c.c., che obbliga gli amministratori a prendere gli opportuni provvedimenti a seguito della declaratoria di annullamento della delibera, sostanzialmente rimettendo all’organo amministrativo, e non al giudice, l’adozione di misure volte ad ottemperare il giudicato.
Diversamente è a dirsi se, una volta tempestivamente intervenuta l’impugnazione volta ad accertare la falsità della rappresentazione contenuta nella prima delibera, anche la seconda sia tempestivamente impugnata e si rilevi che essa sia basata sulla medesima falsa rappresentazione, in tal caso potendosi configurare una invalidità di quest’ultima per vizio del consenso dei singoli votanti o per non conformità alla legge (Guerrieri, La nullità delle deliberazioni assembleari di società per azioni, Milano 2009, 376 ss.).
Ma, in via generale, impugnate entrambe le delibere, si tende a negare che la declaratoria di invalidità della delibera presupposto estenda automaticamente alla delibera collegata, potendo tale declaratoria, piuttosto, far sorgere un vizio proprio della delibera collegata: con l’effetto che, stante l’autonomia dell’accertamento che il giudice dovrà svolgere sull’atto impugnato, potrà accadere che non solo la delibera collegata non sia dichiarata invalida, ma anche che sia dichiarata nulla o annullabile a prescindere dalla natura (nullità o annullabilità) della delibera presupposto (Giunta, Il collegamento tra delibera di approvazione del bilancio e delibera di riduzione del capitale al di sotto del minimo legale ai sensi dell’art. 2482-ter c.c., cit., 920).
Va, infine, segnalato come, in tempi più recenti, la Suprema Corte abbia sottolineato come il principio della nullità derivata attenga al collegamento tra le deliberazioni, quindi al contenuto delle stesse, mentre cosa diversa è il regime impugnatorio. Sotto tale profilo, l’azione intesa a far dichiarare la nullità della delibera di aumento del capitale, in conseguenza della nullità della delibera di riduzione del capitale per perdite (nella specie, dichiarata con statuizione coperta da giudicato interno), resta soggetta alla decadenza di cui all’art. 2379 ter, comma 1, c.c., non incidendo sul regime di proponibilità della domanda la natura derivata della nullità (Cass. 20 luglio 2016, n. 14932).
Invalidità della delibera di approvazione del bilancio e riduzione del capitale (Tribunale di Firenze, 20 giugno 2018)
Il Tribunale di Firenze, Sezione specializzata in materia di imprese, con sentenza 20 giugno 2018, chiarisce come l’invalidità della delibera di approvazione di bilancio non si rifletta sulla validità delle successive delibere di riduzione del capitale o di messa in stato di liquidazione.
Il presupposto dell’azzeramento del capitale a copertura delle perdite e dello scioglimento della società, infatti, non è l’avvenuta approvazione del bilancio ma la sussistenza di perdite pari o superiori al capitale stesso; parallelamente, il presupposto della continuità imprenditoriale non è la chiarezza del bilancio, ma la sussistenza dei requisiti patrimoniali che la consentono.
Si nega, inoltre, che – come invece sostenuto dall’attore – le decisioni sulla approvazione del bilancio e sull’azzeramento del capitale e lo scioglimento della società siano di per sé inscindibili, come dimostrano il fatto che l’una è devoluta all’assemblea ordinaria, l’altra all’assemblea straordinaria e la circostanza che possano essere assunte in tempi diversi.
Si esclude, inoltre, che possa trovare applicazione analogica il disposto dell’art. 1419, c.c. (la nullità parziale di un contratto o la nullità di singole clausole importa la nullità dell’intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità), che può riguardare un unico atto complesso, ma non atti distinti, come le delibere in questione, per i quali può semmai parlarsi di nullità derivata.
Ma la nullità derivata può ricorrere solo se e nella misura in cui la delibera (invalida) precedente pregiudichi necessariamente il contenuto di quelle successive.
Poiché un bilancio non è atto costitutivo di perdite o patrimoni, bensì atto ricognitivo, sul piano contabile, della realtà economica della società, ne segue che la decisione di azzerare il capitale a copertura delle perdite è resa necessaria non dalla approvazione del bilancio, ma dalla erosione del capitale per la presenza di perdite ad esso pari o superiori. Ugualmente, la decisione di sciogliere la società trova la sua ragione nella perdita del capitale, sia essa o non sia stata correttamente esposta nell’ultimo bilancio approvato, in assenza di una volontà di ricapitalizzare la società.
Nel caso all’attenzione del Tribunale, il capitale sociale era andato completamente perduto, sicché la riscontrata invalidità del bilancio, per difetto di chiarezza, e della delibera che lo ha approvato, non ha alcuna incidenza sui presupposti che legittimano le delibere conseguenti, ancorché contestualmente assunte dalla stessa assemblea.
Invero, la questione delle conseguenze dell’invalidità della deliberazione presupposta su quella conseguente non è così pacifica.
La stessa giurisprudenza di merito ha assunto, sul punto, atteggiamenti divergenti.
Si è, ad esempio, affermato come, in applicazione dei principi generali in tema di collegamento negoziale, l’invalidità della deliberazione di approvazione del bilancio determini l’invalidità della conseguente deliberazione di aumento e riduzione del capitale adottata ai sensi dell’art. 2482-ter c.c., allorquando la prima deliberazione esponga perdite di esercizio superiori a quelle reali (così Trib. Catania, 23 giugno 2011, in Riv. Dir. soc., 2011, 911 ss., con commento di Giunta, Il collegamento tra delibera di approvazione del bilancio e delibera di riduzione del capitale al di sotto del minimo legale ai sensi dell’art. 2482-ter c.c.), rinvenendosi il fondamento dell’estensione degli effetti dell’invalidità della prima delibera sulla seconda nel rapporto di “pregiudizialità-dipendenza” che le lega. Una posizione che risulta manifestata anche in più risalenti pronunce di legittimità (Cass., 23 marzo 2004, n. 5740, in Riv. not., 2004, 1254).
In sostanza, secondo tale orientamento, si ha un’estensione degli effetti dell’illegittimità di una delibera su quelle contestualmente o conseguentemente approvate a prescindere dalla autonoma impugnazione della delibera assembleare collegata. In particolare, in numerose pronunce si afferma come l’illegittimità della deliberazione di riduzione del capitale della società, perché adottato in assenza di perdite che la giustifichino, riverberi i suoi effetti anche sulla conseguente deliberazioni di ricostituzione del capitale asseritamente perduto (oltre alle due pronunce da ultimo citate, Cass. 18 agosto 1993, n. 8760, in Dir. fall., 1994, II, 448; App. Milano, 31 gennaio 2003, in Giur. comm., 2003, II, 612; Trib. Ancona, 18 gennaio 2002, in Giur. it., 2003, II, 2349 ss.; Trib. Roma, 5 dicembre 2000).
Diversamente orientata appare la dottrina, la quale nega in prevalenza l’assimilabilità, per questi profili, della delibera assembleare al negozio giuridico e, di conseguenza, l’applicazione dei principi in tema di collegamento negoziale (Meo, Gli effetti dell’invalidità delle deliberazioni assembleari, Milano, 1998, 19 ss.; Pisani Massamormile, Invalidità delle delibere assembleari. Stabilità ed effetti, in Riv. dir. comm., 2004, I, 55 ss.; Ginevra, Nullità post conversione di delibera di emissione di obbligazioni bancarie convertibili?, in Giur. comm., 2003, II, 268 ss.).
Si afferma, così, che la deliberazione assembleare non è, sempre e comunque, un fondamento causale, un vincolo di contenuto e, dunque, un presupposto di validità ed efficacia di tutti gli atti deliberativi (e non solo) conseguenti (Meo, Gli effetti dell’invalidità delle deliberazioni assembleari, cit., 206): anzi, soprattutto con la riforma del diritto societario, l’affermazione del principio della stabilità delle situazioni organizzative e sostanziali introdotte dagli atti societari fa propendere per l’esclusione di un automatico effetto condizionante del vizio della delibera precedente.
Una conferma in tal senso si dovrebbe trarre anche dal disposto dell’art. 2377, comma 7, c.c., che obbliga gli amministratori a prendere gli opportuni provvedimenti a seguito della declaratoria di annullamento della delibera, sostanzialmente rimettendo all’organo amministrativo, e non al giudice, l’adozione di misure volte ad ottemperare il giudicato.
Diversamente è a dirsi se, una volta tempestivamente intervenuta l’impugnazione volta ad accertare la falsità della rappresentazione contenuta nella prima delibera, anche la seconda sia tempestivamente impugnata e si rilevi che essa sia basata sulla medesima falsa rappresentazione, in tal caso potendosi configurare una invalidità di quest’ultima per vizio del consenso dei singoli votanti o per non conformità alla legge (Guerrieri, La nullità delle deliberazioni assembleari di società per azioni, Milano 2009, 376 ss.).
Ma, in via generale, impugnate entrambe le delibere, si tende a negare che la declaratoria di invalidità della delibera presupposto estenda automaticamente alla delibera collegata, potendo tale declaratoria, piuttosto, far sorgere un vizio proprio della delibera collegata: con l’effetto che, stante l’autonomia dell’accertamento che il giudice dovrà svolgere sull’atto impugnato, potrà accadere che non solo la delibera collegata non sia dichiarata invalida, ma anche che sia dichiarata nulla o annullabile a prescindere dalla natura (nullità o annullabilità) della delibera presupposto (Giunta, Il collegamento tra delibera di approvazione del bilancio e delibera di riduzione del capitale al di sotto del minimo legale ai sensi dell’art. 2482-ter c.c., cit., 920).
Va, infine, segnalato come, in tempi più recenti, la Suprema Corte abbia sottolineato come il principio della nullità derivata attenga al collegamento tra le deliberazioni, quindi al contenuto delle stesse, mentre cosa diversa è il regime impugnatorio. Sotto tale profilo, l’azione intesa a far dichiarare la nullità della delibera di aumento del capitale, in conseguenza della nullità della delibera di riduzione del capitale per perdite (nella specie, dichiarata con statuizione coperta da giudicato interno), resta soggetta alla decadenza di cui all’art. 2379 ter, comma 1, c.c., non incidendo sul regime di proponibilità della domanda la natura derivata della nullità (Cass. 20 luglio 2016, n. 14932).