SOCIETA’ AGRICOLA, ATTIVITA’ COMMERCIALE E FALLIMENTO

Società agricola, previsione di attività commerciale e fallimento (Cass. 26 settembre 2018, n. 23157)
La Corte di Cassazione, I sezione civile, con sentenza 26 settembre 2018, n. 23157, afferma l’assoggettabilità al fallimento delle società costituite nelle forme previste dal codice civile e aventi a oggetto un’attività commerciale, indipendentemente dall’effettivo esercizio di una siffatta attività, “in quanto esse acquistano la qualità di imprenditore commerciale dal momento della loro costituzione, non dall’inizio del concreto esercizio dell’attività d’impresa, al contrario di quanto avviene per l’imprenditore commerciale individuale”; sicché “mentre quest’ultimo è identificato dall’esercizio effettivo dell’attività, relativamente alle società commerciali è lo statuto a compiere tale identificazione, realizzandosi l’assunzione della qualità in un momento anteriore a quello in cui è possibile, per l’impresa non collettiva, stabilire che la persona fisica abbia scelto, tra i molteplici fini potenzialmente raggiungibili, quello connesso alla dimensione imprenditoriale”

La Suprema Corte ricorda come tale statuizione sia espressione di un orientamento assolutamente costante, richiamando in proposito due pronunce che hanno affermato il medesimo principio.

La prima (Cass. 16 dicembre 2013, n. 28015) con cui si riconosceva la natura di imprenditore commerciale – e conseguente assoggettabilità al fallimento – ad un consorzio con attività esterna, costituito in forma di società, il cui statuto prevedeva l’esecuzione, con autonoma organizzazione di mezzi e per conto delle imprese consorziate, di attività di lavori edili, di trasporto, nonché di servizi amministrativi e contabili, con divisione degli utili tra i soci; e ciò senza compiere alcuna verifica sull’effettivo svolgimento delle attività statutariamente previste.

La seconda (Cass. 6 dicembre 2012 n. 21991) con cui si era attribuita la qualità di impresa commerciale ad una società mista, nel cui oggetto sociale erano ricomprese attività pacificamente esercitabili da società di diritto privato.

Nello stesso senso, in precedenza, si era espressa altra pronuncia (Cass. 26 giugno 2001, n. 8694, in Fallimento, 2002, 602) con riguardo ad una s.r.l. considerata quale impresa commerciale in ragione dell’oggetto sociale comprendente l’acquisto, la vendita, la permuta e l’edificazione di immobili in genere benché i soci asserissero che l’attività effettivamente svolta consisteva nel semplice godimento di immobili.

In diversa prospettiva, rispetto al principio sopra richiamato, vanno tuttavia ricordate le pronunce con cui si afferma che ai fini dell’esenzione dal fallimento di una impresa agricola, è irrilevante l’organizzazione della stessa in forma societaria, come pure le previsioni statutarie in ordine al suo oggetto sociale, poiché, ai sensi dell’art. 1 del d.lgs. n. 99 del 2004, anche le società di capitali possono esercitare l’impresa agricola, sicché, per essere dichiarate fallite, è sempre necessaria un’indagine volta a provare la natura commerciale dell’attività in concreto svolta (es. Cass. 13 luglio 2017, n. 17343): in tali casi, infatti, la mera previsione statutaria di attività di per sé commerciali nell’oggetto sociale non integra in sé alcun requisito di prevalenza o comunque influenza qualitativa sulle attività agricole enunciate come principali, ed è invece necessario un sindacato sulla loro rilevanza in concreto rispetto all’attività agricola (v., in tal senso, anche Corte Cost., sentenza n. 104 del 20 aprile 2012).

Antonio Ruotolo e Daniela Boggiali

6 novembre 2018

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REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

PRIMA SEZIONE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati

ANTONIO DIDONE Presidente

FRANCESCO TERRUSI Consigliere – Rel.

ANTONIO PIETRO LAMORGESE Consigliere

PAOLA VELLA Consigliere

MASSIMO FALABELLA Consigliere

ORDINANZA

sul ricorso 5504/ 2015 proposto da:

ALFA S.r.I. in Liquidazione;

-ricorrente –

Contro

BETA Banco Popolare Soc. Coop.;

-controricorrente –

Contro

Fallimento ALFA S.r.l. in Liquidazione;

– intimato –

avverso la sentenza n. 105/ 2015 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 20/01/ 2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/06/ 2018 dal cons. TERRUSI FRANCESCO.

Rilevato che:

la corte d’appello di Venezia con sentenza in data 20-1-2015 ha rigettato il reclamo di ALFA s.r.l. in liquidazione nei riguardi della sentenza del tribunale di Treviso che ne aveva dichiarato il fallimento;

la società ricorre adesso per cassazione sulla base di un unico mezzo, al quale replica la creditrice istante BETA Banco popolare soc. coop. con controricorso;

le parti hanno depositato memorie.

Considerato che:

1. – devesi preliminarmente osservare che il Banco BETA ha chiesto alla Corte, nella memoria, di assumere i “conseguenti provvedimenti di legge” a fronte della asserita sopravvenuta chiusura del fallimento della società ricorrente e della correlata sua cancellazione dal registro delle imprese;

la laconicità del riferimento non consente di comprendere a quali “conseguenti provvedimenti di legge” la difesa del Banco BETA abbia inteso riferirsi;

a ogni modo la questione è irrilevante, poiché nessuno degli eventi rappresentati, ove anche sussistente, potrebbe assumere rilievo nella presente sede di legittimità, visto che nel giudizio di cassazione, caratterizzato dall’impulso d’ufficio, non sono applicabili le norme in materia di interruzione del processo;

2. – la ricorrente, con unico motivo, deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 1 legge fall. e degli artt. 2082, 2135 e 2195 cod. civ.;

censura la sentenza per avere affermato, in contrasto con un precedente decreto passato in giudicato, implicante il riconoscimento della non fallibilità per l’esercizio di attività agricola, la soggezione dell’impresa al fallimento indipendentemente dall’effettivo esercizio del tipo di attività commerciale indicata nell’oggetto sociale; ciò sul presupposto che per le società commerciali sia irrilevante tale esercizio effettivo;

ove intesa nel senso indicato dalla corte d’appello, la disposizione di cui all’art. 1 della legge fall. andrebbe, secondo la ricorrente, ritenuta in contrasto con gli artt. 3 e 41 cost.;

3. – occorre premettere che l’avvenuta evocazione di un anteriore decreto della stessa corte d’appello, escludente la fallibilità di ALFA s.r.l. perché svolgente attività agricola, non assume alcuna rilevanza ai fini dell’odierna censura;

ove anche si prescindesse dal fatto che in proposito niente risulta dalla sentenza né dagli atti interni del giudizio di legittimità, è decisivo che il decreto reiettivo dell’istanza di fallimento – al pari di quello confermativo del rigetto in sede di reclamo – non è idoneo al giudicato (cfr. tra le tante Cass. n. 5069-17, Cass. n. 6683-15);

4. – il ricorso è infondato;

con orientamento assolutamente costante questa Corte da anni va ripetendo che le società costituite nelle forme previste dal codice civile e aventi a oggetto un’attività commerciale sono assoggettabili a fallimento, indipendentemente dall’effettivo esercizio di una siffatta attività, “in quanto esse acquistano la qualità di imprenditore commerciale dal momento della loro costituzione, non dall’inizio del concreto esercizio dell’attività d’impresa, al contrario di quanto avviene per l’imprenditore commerciale individuale”; sicché “mentre quest’ultimo è identificato dall’esercizio effettivo dell’attività, relativamente alle società commerciali è lo statuto a compiere tale identificazione, realizzandosi l’assunzione della qualità in un momento anteriore a quello in cui è possibile, per l’impresa non collettiva, stabilire che la persona fisica abbia scelto, tra i molteplici fini potenzialmente raggiungibili, quello connesso alla dimensione imprenditoriale” (v. ex aliis Cass. n. 28015-13, Cass. n. 21991-12);

l’orientamento non è affatto contrastato dai precedenti richiamati in ricorso:

Cass. n. 12215-12, per prima citata da parte ricorrente, ha semplicemente ribadito l’altro egualmente consolidato principio che vuole soggetti alle disposizioni sul fallimento gli imprenditori che in ogni caso esercitano un’attività commerciale; sicché “la sottrazione dell’impresa agricola, nella definizione che ne dà l’art. 2135 c.c., al fallimento (…) non può essere intesa nel senso che lo svolgimento di un’attività agricola porrebbe al riparo dal fallimento l’impresa che svolgesse, parallelamente, un’attività di carattere commerciale”;

Cass. n. 23719-14 si è limitata a dire congruamente e correttamente motivata la sentenza di merito che aveva qualificato come commerciale, e non agricola, l’attività dell’impresa sulla base di alcune evidenze processuali, e in particolare in base al fatto che nell’oggetto sociale della società erano ricomprese tutta una serie di attività senza alcuna connessione con l’attività agricola vera e propria;

5. – la prospettata questione di legittimità dell’art. 1 legge fall. è manifestamente infondata: essa da un lato non tiene conto dell’ovvia divergenza che caratterizza la società rispetto alla persona fisica sul piano del momento acquisitivo della qualità d’imprenditore, dall’altro non considera che la soggezione al fallimento di una società statutariamente contemplante l’esercizio di attività commerciale è una conseguenza giustappunto della libera scelta statutaria, e dunque non può dirsi limitativa della libertà di iniziativa economica;

le spese processuali seguono la soccombenza.

p.q.m.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese processuali, che liquida in euro 7.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e rimborso forfetario di spese generali nella percentuale di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Deciso in Roma, nella camera di consiglio della prima sezione civile, addì 21 giugno 2018.

Antonio Ruotolo e Daniela Boggiali

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