TRASFORMAZIONE E RECESSO

Al recesso nella trasformazione di s.r.l. in s.p.a. si applica l’art. 2473, c.c. (Cass. 12 novembre 2018, n. 28987)
La Corte di Cassazione, I sezione civile, con sentenza n. 28987, depositata il 12 novembre 2018, afferma il seguente principio di diritto: «anche in caso di trasformazione da società a responsabilità limitata a società per azioni, la disciplina del diritto di recesso applicabile ai soci a seguito della trasformazione è quella dettata dall’art. 2473, primo comma, c.c. per le s.r.l., che non prevede termini di decadenza. Pertanto, in detta ipotesi, il diritto di recesso del socio di s.r.l. trasformata in s.p.a. va esercitato nel termine previsto nello statuto della s.r.l., prima della sua trasformazione in s.p.a., e, in mancanza di detto termine, secondo buona fede e correttezza, dovendo il giudice del merito valutare di volta in volta le modalità concrete di esercizio del diritto di recesso e, in particolare, la congruità del termine entro il quale il recesso è stato esercitato, tenuto conto della pluralità degli interessi coinvolti».
Nella pronuncia si sottolinea come, con la riforma del diritto societario, il tipo s.r.l. abbia assunto un’autonomia di disciplina rispetto al tipo s.p.a. tale da non consentire l’integrazione delle regole statutarie del primo con le previsioni normative dettate per il secondo.
Da un lato, infatti, si evidenzia come, nella stessa Relazione al d.lgs. 6/2003 si affermi che la s.r.l. possa configurarsi non più come una «piccola società per azioni», ma «come una società personale la quale, pur godendo del beneficio della responsabilità limitata […], può essere sottratta alle rigidità di disciplina richieste per le società per azioni».
Dall’altro lato, si ricorda come, proprio per i profili relativi al diritto di recesso, la stessa Suprema Corte abbia affermato che «l’orientamento del legislatore della riforma societaria è consistito nel potenziare il diritto di recesso, specificamente nella forma delle s.r.l., i cui dati distintivi sono frequentemente la ristrettezza della compagine societaria, il carattere familiare dell’investimento e, spesso, della gestione, la non ascrivibilità al modello della società aperta e, quindi, la non facile trasferibilità a terzi dell’investimento effettuato dai soci. Se il legislatore della riforma ha, da un lato, voluto semplificare la gestione e l’esercizio dell’impresa affidata alla s.r.l., differenziandone maggiormente i connotati rispetto alla s.p.a., per altro verso ha voluto tutelare i soci di minoranza favorendo l’accessibilità al recesso come contropartita delle ampie facoltà attribuite al controllo da parte dei soci di maggioranza. Le esigenze di tutela dei soci di minoranza risultano quindi rafforzate per quanto concerne la possibilità di recedere da un investimento che non si riferisce più ai connotati essenziali dell’impresa selezionata dall’investitore» (Cass. 9662/2013; cfr. anche Cass. 2038/2018).
Dunque, un’estensione della tutela del socio e del suo diritto a disinvestire che trova conferma, ad esempio, nell’estensione della disciplina del recesso ad nutum per le s.r.l. costituite a tempo indeterminato anche ai casi di previsione di termine di durata eccessivamente lungo (Cass. 9662/2013).
Tutto ciò, in sostanza, impedisce di integrare acriticamente la disciplina del recesso nella s.r.l. nelle parti in cui questa – anche sul piano statutario – sia apparentemente lacunosa, con la disciplina del recesso nelle s.p.a.
Ne deriva, quindi, che non è ammissibile l’applicazione de plano della disciplina prevista per la s.p.a. sia sulla base della lettera dell’art. 2473, primo comma, c.c. nel quale si statuisce che “in ogni caso, il diritto di recesso compete ai soci che non hanno consentito al cambiamento dell’oggetto o del tipo di società […]” indicando in tal modo che la disciplina applicabile in caso di trasformazione non può che essere quella della società ante trasformazione, sia sulla base della ratio legis, in quanto sarebbe contraddittorio, nonché contrario alla buona fede, applicare la nuova disciplina imponendo al socio dissenziente che ha diritto al recesso di esserne comunque assoggettato.
In secondo luogo, il fatto che l’art. 2473 c.c. non preveda expressis verbis un termine per esercitare il diritto di recesso, per il caso in cui lo statuto o dell’atto costitutivo nulla dispongano sul punto, non costituisce, una lacuna normativa da colmare facendo ricorso all’analogia legis, ai sensi dell’art. 12 prel., con la disciplina delle società azionarie, dato che, ormai, il recesso nella s.r.l. non risponde più alla medesima ratio del recesso nella s.p.a. Anzi, nel silenzio dell’atto costitutivo, il rinvio alla disciplina di cui all’art. 2437 bis c.c. costituirebbe una violazione del dovere di buona fede in senso oggettivo e correttezza, ex art. 1375 c.c., al cui rispetto sono tenute le parti nell’esecuzione del contratto di società, per molteplici ordini di fattori.
Di conseguenza, nel caso in cui l’atto costitutivo non determini le modalità e, in particolare, i tempi attraverso le quali il recesso può essere esercitato, non si potrà fare ricorso il ricorso all’analogia, che presuppone una lacuna dell’ordinamento, ma si farà ricorso ai principi propri del diritto comune riguardanti l’interpretazione e l’esecuzione del contratto secondo buona fede, artt. 1366 e 1375 c.c., principi che operano anche come fonte di integrazione della regolamentazione contrattuale, art. 1374 c.c. (v. Cass. 3351/1996; 4598/1997; 11004/ 2006; 15669/ 2007; 12563/ 2014).
La Cassazione, dunque, risolve la questione della disciplina applicabile al recesso in caso di trasformazione omogenea da s.r.l. in s.p.a. nel senso della applicabilità dell’art. 2473, c.c.
Si tratta, peraltro, di questione sulla quale non si è registrato un particolare dibattito a differenza di quanto avvenuto con riferimento alla trasformazione omogenea progressiva (da società personale in società capitalistica), rispetto alla quale, a fronte di un’opinione che afferma l’applicabilità dell’art. 2437-bis, comma 1, c.c. (Mosca, sub art. 2500-ter, in Trasformazione – Fusione – Scissione, Comm. Marchetti, Bianchi, Ghezzi, Notari, Milano, 2006, 131), pare preferibile la tesi di chi rileva come non vi sia «alcun appiglio per sostenere che il recesso debba, nel caso di specie essere regolato in forza di norme diverse da quelle applicabili alla società di persone che delibera la trasformazione; in secondo luogo, che non si vede perché lo stesso termine dovrebbe trovare applicazione quando la società risultante dalla trasformazione è una s.r.l. piuttosto che una s.p.a., nella cui disciplina manca una norma analoga all’art. 2347-bis comma 1, c.c.; che la ritenuta applicabilità in ogni caso delle norme in materia di società risultante dalla trasformazione dovrebbe portare ad ammettere, ove quest’ultima società sia una s.p.a., un recesso soltanto parziale da parte del socio, in applicazione di una regola specifica e peculiare di questo ultimo tipo sociale ed in contrasto con la ratio dell’istituto dell’art. 2500-ter c.c.» (Maltoni, La trasformazione c.d. omogenea in generale, in Maltoni – Tassinari, La trasformazione delle società, Milano, 2011, 115).

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